Ogni tanto mi si consulta sulle diverse diciture che sono
circolate e circolano attorno al carisma di una famiglia religiosa: di
fondazione, del fondatore, fondazionale, dell’Istituto… A volte si rimprovera
la mia poca chiarezza terminologica, risalente a 40 anni fa, quando scrissi I
fondatori uomini dello Spirito. Era un lavoro pionieristico, anche se c’erano
stati già degli scritti in merito come quelli di Midali. Oggi forse scriverei
diversamente, ma mi pare che le idee le avessi chiare fin da allora, pur non
avendo il lessico adeguato. Ho poi ripreso il lavoro con In ascolto dello
Spirito (1996), dove ho affrontato in particolare l’ermeneutica e la
metodologia per lo studio del carisma.
Quel mio primo lavoro aveva di mira la fenomenologia del
fondatore: chi è un fondatore, come, perché diventa tale, qual è il suo
percorso, la nascita della comunità… Ciò, pur con modalità diverse, è comune a
tutti i fondatori. Perciò chiamai tale percorso “carisma di fondatore”,
analogamente a carisma di profeta, carisma di pastore… Certamente per compiere
questa missione ha bisogno di grazie particolari, legate alla sua persone, per
compiere l’opera a cui è chiamato e che quindi non sono trasmissibili.
Ogni fondatore ha poi un messaggio, un progetto, una
modalità di attuazione, una missione, una spiritualità, che condivide con
altri. Il contenuto di questo insieme di realtà – i contenuti del carisma – lo
chiamai “carisma del fondatore”, perché la fisionomia dell’opera che da lui
dovrà nascere è stata comunicata a lui dallo Spirito: è la sua “esperienza”, è
quanto ha vissuto in prima persona. Se domando a un Gesuita qual è “il carisma
del suo fondatore”, sant’Ignazio, non mi parla delle grazie di Manresa, che
sono ciò che lo hanno reso fondatore e che rimangono solo per lui, ma degli Esercizi
spirituali che sono nati da quell’esperienza. Se domando a un Francescano qual
è “il carisma del suo fondatore”, san Francesco, non mi risponde “le stigmate”,
che sono un dono esclusivo per lui, ma mi parlerà di Madonna povertà, della
perfetta letizia, del “Mio Dio e tutto”. Questo dono dato al fondatore dallo
Spirito – il contenuto della sua esperienza, a prescindere dalla modalità tutta
personale con cui è avvenuta – è trasmesso all’Istituto e possiamo chiamarlo tranquillamente
“carisma di fondazione”: è quanto egli ha vissuto in prima persona (perché non
possiamo chiamarlo “carisma del fondatore”? anche se non è esclusivamente suo,
ma dato a lui per essere condiviso).
Al di là delle terminologia, quello che mi preme rilevare
– e che spesso vedo compromesso o non sufficientemente tenuto in considerazione
– è la continuità tra il carisma del fondatore – nel senso appena ricordato – e
quello dell’Istituto: è l’eredità che il fondatore lascia, il patrimonio che l’Istituto
riceve. Certamente deve far fruttare tale patrimonio, sviluppandolo, arricchendolo…
ma è quello, anche quando cresce, si esprime in altre culture.
Occorre naturalmente rigore scientifico, ma senza bizantinismi.
Un bel lavoro in merito è quello di Massimo Parisi, La memoria della
Passione nel carisma di fondazione di san Paolo della Croce. Linee guida per
una ermeneutica, EDB, Bologna 2021, che ho recensito in “Claretianum”, 61
(2021), p. 342-347.
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