“Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace”.
Questo il congedo del vecchio Simeone, come abbiamo letto oggi nel
Vangelo della Presentazione di Gesù al tempio.
Una settimana fa, prima di entrare in coma, anche p. Ivo Beaudoin
aveva pronunciato parole analoghe, le ultime: “Sono pronto”.
Così ieri, alla vigilia della festa della Presentazione, in sintonia con il vecchio Simeone, anche p. Yvo è
stato accolto nella pace del Signore.
10 anni fa, il 25 giugno 2010,
scrivevo sul blog:
“Mi è già stata assegnata la stanza nella mia nuova casa. Dal
primo luglio farò parte della comunità della casa generalizia degli Oblati a
Roma. Inizia una nuova avventura. Ed inizia dalla stanza n. 203. Ha una grande
finestra luminosa, a tramonto, che dà sul parco dei grandi pini. È la stanza
che ha abitato fino allo scorso ottobre p. Yvon Beaudoin, un’istituzione nel
nostro ambiente: ha vissuto 60 anni a Roma, pubblicando una infinità di libri e
articoli, frutto di una passione straordinaria per il Fondatore e la storia
degli Oblati, e di una professionalità unica nel campo della ricerca. Dovrò
idealmente continuare il suo lavoro, anche se non sarò alla sua altezza e
soprattutto, non per 60 anni! In ogni caso mi sembra una coincidenza non
casuale che mi abbiano dato, senza averci pensato, la sua stanza: raccolgo il
suo “mantello”, sperando di continuare ad operare nel suo solco, come Eliseo
col mantello di Elia”.
Due anni fa ho cambiato stanza. Adesso sono verso il levante e ogni
mattina vedo sorgere il sole dietro la cupola di san Pietro. Non sono più nella
stanza che fu di p. Ivo. Ma mi sono portato con me, nella nuova stanza, la sua sedia
a dondolo, con lo stesso cuscino un po’ logoro… Mi siedo su quella sedia per leggere, pregare,
riposare…
Adesso p. Ivo mi è vicino più che mai.
È arrivato
a Roma quando io non ero ancora nato. Era partito da New York il 25 settembre
1947 con la nave Nea Hellas, per giungere a Napoli il 13 ottobre. È ripartito
da Roma per tornare definitivamente in Canada nel 2009: 62 anni di lavoro alla
casa generalizia, negli archivi, nella postulazione; alla Congregazione per le
Cause dei Santi in Vaticano; 40 anni con gli scout… Una vita regolare da far
paura. Ha sempre amato lavorare solitario tra quattro mura leggendo vecchi
documenti e scrivendo qualche centinaio di opere e articoli, preparando studi
per altri, restando sempre dietro le quinte, con grande discrezione e umiltà.
Ha catalogato tutti gli scritti di sant’Eugenio, ha imparato a conoscerlo e ad
amarlo come nessun altro. Per fortuna aveva i giovani, anche se anche il lavoro
con loro era molto regolamentato. Tanti, oggi professionisti affermati, lo
ricordano con tanto affetto e domandano sempre di lui…
Di sé
scriveva: “Per natura ho un temperamento dolce e accondiscendente, ma i miei
rapporti sono sempre stati limitati all’essenziale… Le mie giornate sono sempre
state piene, dalle 5.30 alle 22.00, senza fermarmi per la colazione, senza
vedere la televisione se non tre o quattro volte la settimana il telegiornale,
spesso senza cenare perché torno tardi dagli scout… Ho lo stesso ritmo di vita
uguale di anno in anno. Col passare degli anni sono diventato più paziente e
riflessivo, resto abitualmente calmo e sereno. La mia spiritualità è quella del
dovere quotidiano ben fatto, puntuale. Amo ridere quando sono con gli altri e
rendere la mia compagnia piacevole”.
Era
consapevole che il lavoro di storico freddo, oggettivo, un po’ impersonale lo
aveva segnato anche nella vita spirituale. Ciò a volte lo faceva un po’
soffrire. Per questo meditava sempre su una parola che si ripeteva come un ritornello:
“In tutte le cose mi dirò: devo fare straboccare la misura della carità. Se l’amor
proprio mi suggerisce: difendi i tuoi diritti, io dirò: devo fare straboccare
la misura della carità. Se la pigrizia mi suggerisce: riposati, io dirò: devo fare
straboccare la misura della carità. Se la prudenza mi suggerisce di risparmiare
le mie energie, io dirò: devo fare straboccare la misura della carità. Se
divento nervoso, irascibile, io dirò: coraggio, devo fare straboccare la misura
della carità…”.
Ha
accettato i suoi limiti, senza rassegnarsi. Ed è quello che suggeriva anche
agli altri quando lasciò Roma:
“Agli
Oblati non direi tanto «evangelizzate», «siate pieni zelo», lo sono sempre stati;
direi piuttosto quello che diceva sant’Eugenio: «siate religiosi», «siate
regolari», «lavorate a diventare santi». Questa insistenza sulla vita di
preghiera, sulla carità fraterna, sulla tensione verso la santità l’ho messa in
luce in tutte le introduzioni che ho scritto ai vari volumi dei suoi scritti!
Il ruolo dei formatori è quello di fare in modo che il carisma oblato e le
tradizioni della Congregazione vengano trasmesse alle nuove generazioni degli
Oblati di Maria Immacolata”.
Sì, servo buono e fedele, puoi andare in pace a ricevere la giusta ricompensa che ti è stata promessa tanti anni fa...
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