Il presepe di casa |
Allora iniziamo la novena di Natale con il
presepe, come ce lo racconta Luciano De Crescenzio facendo parlare il professore
Bellavista e i suoi studenti:
«Il presepe è bello quando lo fai o
addirittura quando lo pensi: “Adesso viene Natale e facciamo il presepe”. (…) il
presepista bravo o non bravo, diventa creatore (…)
I pastori debbono essere quelli di creta,
fatti a mano, un poco brutti e soprattutto nati a San Gregorio Armeno, nel
cuore di Napoli, e non quelli di plastica che si vendono all’UPIM, e che
sembrano finti; i pastori debbono essere quelli dell’anno precedente e non fa
niente se sono quasi tutti un poco scassati, l’importante è che il capofamiglia
li conosca per nome uno per uno, e sappia raccontare per ogni pastore nu
bello fattariello:
“Questo è Benito che non teneva voglia di lavorare e che dormiva sempre, questo
è il padre di Benito che pascolava le pecore sopra alla montagna e questo è il
pastore della meraviglia” e a mano a mano che i pastori escono dalla scatola,
c’è la presentazione.
Il padre presenta i pastori ai figli più
piccoli, che così ogni anno, quando viene Natale, li possono riconoscere e li
possono voler bene come a persone di famiglia. Personaggi della vita, anche se
storicamente inaccettabili come ’O monaco e ’O
cacciatore c’o fucile». (…)
«Papà mio», dice Luigino, «quelli un poco
scassati li riusciva sempre a mettere in maniera tale che poi nessuno si
accorgeva se tenevano un braccio o una gamba di meno; mi diceva: “Luigi, adesso
papà trova una posizione strategica per questo povero pastoriello che ha
perduto una coscia”, e lo piazzava dietro a una siepe o dietro a un muretto, e
poi mi ricordo che avevamo un pastore che ogni anno si perdeva qualche pezzo,
tanto che alla fine ci rimase solo la testa e papà la piazzò dietro a una
finestrella di una casetta. Papà le casette le faceva con le scatole delle
medicine e poi dentro ci metteva la luce, e quando, durante l’anno, io mi
dovevo prendere una medicina, per esempio uno sciroppo che non mi piaceva,
allora lui prendeva lo scatolino e mi diceva: “Luigi, questo scatolo ce lo
conserviamo per quando viene Natale, che così ne facciamo una bella casetta per
il presepio, tu però bell’ ’e papà devi finire prima la
medicina che ci sta dentro, se non papà la casarella come la fa?”».
«E poi quando veniva la mezzanotte», continua
Salvatore, «ci mettevamo tutti in processione e giravamo per tutta la casa
cantando “Tu scendi dalle stelle”. Il più piccolo della famiglia avanti con il
Bambino Gesù, e tutti quanti dietro con una candela accesa tra le mani».
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