Sono sette le beatitudini dell’Apocalisse. Un numero che è come la
proclamazione della pienezza della gioia, il superlativo della beatitudine,
quasi dicesse che coloro che si lasciano coinvolgere dalle promesse di Gesù sono
beati al massimo.
La prima dichiara beato chi legge e chi ascolta le parole della profezia
contenuta nel libro di Giovanni (1, 3). La seconda è quella che abbiamo appena
letto il mese scorso: “Beati
i morti che muoiono nel Signore»” (14, 13): La terza: “Beato chi è vigilante e
custodisce le sue vesti” (16, 15). La quinta: “Beati e santi quelli che
prendono parte alla prima risurrezione” (20, 6). La sesta riprende la prima:
“Beato chi custodisce le parole profetiche di questo libro” (22, 7); e infine:
“Beati coloro che lavano le loro vesti” (22, 14).
Ci
soffermiamo sulla quarta perché indica la meta finale del cammino dell’umanità: “Beati gli
invitati al banchetto di nozze dell’Agnello!” (19, 9).
L’Apocalisse è una porta aperta sul cielo e cosa vi si vede? Un banchetto
di nozze! L’aveva già anticipato Gesù in una delle sue parabole: “Il regno dei
cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio…” (Mt
22, 2). Lo stesso quando, vedendo che il pagano centurione di Cafarnao lo
capiva meglio di tanti ebrei, annunciò che molti sarebbero venuti dall’oriente
e dall’occidente e si sarebbero seduti “a mensa… nel regno dei cieli” (Mt
8, 11).
Così si era immaginato il regno di Dio anche Isaia: “Preparerà il
Signore degli eserciti / per tutti i
popoli, su questo monte, / un
banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, / di cibi succulenti, di vini raffinati” (25,
6).
Perché le gioie dell’èra messianica prima e poi quelle del paradiso sono
state rappresentate dall’immagine del banchetto? Perché la convivialità è una delle
espressioni più belle del vivere umano. È a tavola che la famiglia si ritrova;
a tavola ci si racconta il vissuto quotidiano, ci si apre alla confidenza, ci
si “ricrea”, si prova la gioia più pura. C’è una festa più bella del banchetto
di nozze? Per quell’occasione si spende e si spande a profusione, senza
risparmio. E se manca il vino, che disastro, bisogna proprio che Gesù faccia un
miracolo perché la festa non si guasti. Lui stesso partecipa ai banchetti, a
cominciare appunto da quello di Cana che è proprio un banchetto di nozze, ed è
la prima apparizione in pubblico di Gesù. Da allora lo troviamo spesso a
tavola. Lo troviamo da alcuni farisei (cf. Lc 7, 36; 11, 37),
così come di Marta Maria e Lazzaro (cf. Gv 12, 2). La
chiamata di Levi culmina a tavola (cf. Mt 9, 9-10), così come quella di
Zaccheo (cf. Lc 19, 1-10): c’era un modo migliore per esprimere
la gioia della salvezza? È
comprensibile che i suoi denigratori lo chiamassero “un mangione e un
beone” (Lc 7, 34).
Come sarà la vita del paradiso? Lassù naturalmente non si
mangerà e non si berrà. Come possiamo dunque immaginarla? L’abbiamo
detto, Gesù non ha saputo trovare un’immagina più bella di quella del banchetto
di nozze per dirci la gioia e la festa che troveremo in cielo.
Non avremo più fame né sete – ci assicura l’Apocalisse –, non ci colpirà
nessuna calamità “perché l’Agnello sta in mezzo a noi” e Dio asciugherà ogni
lacrima dai nostri occhi (cf. 7, 16-17), e “non vi sarà più la morte, né lutto
né lamento né affanno” (21, 3-4). Saremo una famiglia unita, nella quale ci
ritroveremo fratelli e sorelle, con il Padre comune, con il Signore Gesù che
continuerà a chiamarci “amici” e a servirci a tavola (cf. Lc 12, 37).
Beati coloro che sono invitati!
Chi lo è e chi non lo è?
Penso che siano, che siamo invitati tutti!
Alcuni invitati alla festa di nozze declinarono l’invito perché avevano
altre cose da fare; altri, che si trovavano ai crocicchi delle strade, furono
radunati perché la sala si riempisse di convitati (cf. Mt 22, 1-10).
Beati questi ultimi!
Erano dieci le vergini invitate al banchetto di nozze: cinque erano pronte,
con le lampade accese, ed entrarono nella sala; le altre non erano pronte e
rimessero chiuse fuori (cf. Mt 25, 1-12). Beate le prime cinque!
Il Signore il banchetto l’ha imbandito. Gli è costato un patrimonio questa festa di
nozze, ci ha rimesso la vita! L’invito ce lo ripete continuamente. Sta alla porta a
bussa in attesa che gli apriamo la porta e lo lasciamo entrare (cf. Ap 3,
20).
“Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima
della mia passione”, disse appena si fu seduto a tavola l’ultima sera che era
con i suoi discepoli (cf. Lc 22,
14-15). Come allora Gesù ha desiderio di noi, ci attende.
“E noi – si domandò Benedetto XVI il giovedì santo del 21
aprile 2011 –, abbiamo veramente desiderio di
Lui? C’è dentro di noi la spinta ad incontrarLo? Bramiamo la sua vicinanza, il
diventare una cosa sola con Lui…? Oppure siamo indifferenti, distratti, pieni
di altro?”.
Beati noi se lo attendiamo con gioia e costanza, ripetendo il desiderio di
incontrarlo presto, con le parole con cui si chiude il libro dell’Apocalisse:
“Vieni, Signore Gesù!”. Lasciamo che lui ci ripeta: “Sì, vengo presto!” (22,
17.20).
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