“No, non
credo affatto che codesti Viandanti in Cristo proclamino realmente un evangelo
sconosciuto. La mia impressione, quando sono passati dalle nostre parti, è
stata che professano il medesimo vangelo nostro: solo che lo leggono in maniera
diversa dalla nostra”.
Così in una
lettera di Andrea, ministro nella chiesa di Santo Stefano, ad Antrodico,
indirizzata al vescovo di Spoleto nell’anno 1000.
E Romualdo,
vescovo di Todi, ad Alessandro II papa: “Questi Viandanti seguono in fondo il
Vangelo di sempre, ma lo seguono fedelmente, da farlo parere irriconoscibile”.
La mia lenta
lettura de Il quinto evangelio di Pomilio mi porta in un mondo medievale
ricco di attese, di desiderio di una Chiesa semplice e pienamente evangelica;
un mondo che si protrae nei secoli successivi.
Un libro che
mostra una grande erudizione e una grande fantasia, capace di ricostruire ambienti,
sensibilità, storie che anelano a tornare alla Chiesa primitiva e che sognano
un mondo fatto di fraternità.
Sono pagine
capaci di contagiare, come contagiano, ad esempio, Benedetto da Monforte,
vescovo di Vercelli, che scrivendo all’inquisitore Teobaldo da Cremona, confida
che si sente scosso dai predicatori che vengono dalla Francia e che sono tacciati
da eretici: “Li approvo in cuor mio, e considerandoli mi dico: Vorremmo
detestarli se ci richiamano a vivere secondo i Vangeli, e non solo a parlare
secondo i Vangeli? Io finora ai Vangeli avevo sempre pensato come a un libro di
devozione, e invece ho scoperto che sono una fonte di virtù antagoniste”. Ciò
che tubava era che “non predicano un vangelo inconsueto: solo, è inconsueta la
maniera in cui lo predicano, addirittura pretendendo che lo si debba mettere in pratica”.
Torna dunque la domanda: questo quinto vangelo a cui tanti si riferiscono e di cui affiorano ovunque le tracce, esiste veramente? Forse è semplicemente il Vangelo di sempre - i quattro Vangeli - riscoperti con tutta la loro forza dirompente: è il Vangelo "sine glossa".
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