Continuando nella riflessione stimolata da Il quinto evangelio:
Quando Paolo
dice ai Corinzi: «Potreste avere anche diecimila pedagoghi in Cristo ma non
certo molti padri: sono io che vi ho generato in Cristo Gesù mediante il
Vangelo» (1 Cor 4, 15), mostra chiaramente che annunciare il Vangelo significa
generare un popolo. L’annuncio del Vangelo non è semplicemente una
sorta di insegnamento o una semplice predicazione, ma è la comunicazione di una
vita, le persone cui ci si rivolge annunciando il Vangelo vivono l’esperienza
di essere rigenerati.
A metà
gennaio prossimo, su invito di papa Francesco, celebreremo per la prima volta la “Domenica
della parola di Dio”. In quella occasione, leggiamo nel Motu proprio Aperuit
illis, «sarà importante (…) che nella celebrazione eucaristica si possa
intronizzare il testo sacro, così da rendere evidente all’assemblea il valore
normativo che la Parola di Dio possiede (…). I parroci potranno trovare le
forme per la consegna della Bibbia, o di un suo libro, a tutta l’assemblea in
modo da far emergere l’importanza di continuare nella vita quotidiana la
lettura, l’approfondimento e la preghiera con la Sacra Scrittura, con un
particolare riferimento alla lectio divina».
Basteranno
questi gesti?
Dare il libro del Vangelo o “generare in Cristo mediante il Vangelo”?
Per generare
una vita occorre avere la vita in sé, essere Vangelo vivo.
Prima di
essere maestri occorre essere discepoli. Prima di insegnare siamo chiamati a
vivere. Allora il nostro annuncio sarà testimonianza, come lo era quella degli
apostoli.
Ogni nostra
proclamazione della Parola dovrebbe concludersi come quella di Gesù nella
sinagoga di Nazareth: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete
ascoltato» (Lc 4, 21). Chi ci ascolta dovrebbe vedere in noi il compimento,
l’attuazione di quello che ascolta. Soltanto così la Parola genera la vita e
potremo dire, come Paolo: “vi ho generato in Cristo Gesù mediante il Vangelo”.
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