È una sorpresa e un dono che mi ha riservato don Olinto, Paolino
dei primi tempi.
Conobbi dal Alberiore, il Fondatore della Famiglia Paolina,
pochi anni dopo la sua morte, avvenuta nel 1971.
Fu per caso, grazie a un furto fatto un giorno
nella casa delle Figlie di san Paolo in via Antonino Pio. Non l’ho mai
confessato perché non me ne sono mai pentito. Suor Olga Ambrosi mi aveva invitato
nella sua comunità “Divina Provvidenza”, dove mi recai a più riprese per delle
conversazioni e dei ritiri. La prima volta notai su uno scaffale il libretto
rosso dei Pensieri di don Alberione.
Lo presi e, a casa, lo lessi tutto d’un fiato. Sarà stato nel 1977.
In quel periodo stavo appena iniziando a riflettere sulla
figura dei fondatori e delle fondatrici. La lettura dei Pensieri cadde in quel contesto e mi consentì di cogliere
l’esperienza di don Alberione alla luce di tante altre analoghe esperienze
ecclesiali, con le quali entravo in contatto. Mi aiutò anche una conversazione
che poco tempo prima Chiara Lubich aveva tenuto ai membri del Movimento dei
focolari, nella quale, proprio partendo dal libro Pensieri, metteva a confronto l’opera di don Alberione con la
propria opera, perché, diceva, «le opere di Dio sono come tante sorelle:
debbono somigliarsi perché figlie di un unico Padre; con lineamenti simili,
quindi, seppure diverse».
Fu così che, quando si trattò di preparare la mia tesi di
dottorato, decisi di prendere don Alberione come uno degli esempi più
significativi per elaborare una tipologia di fondatore.
Mi colpì soprattutto la sua docilità all’azione dello
Spirito, tema sul quale sono ritornato successivamente, nel 1998, con uno
studio su Don Giacomo Alberione, uomo
dello Spirito.
Tra l’altro diceva:
«Quando un’anima è ripiena di Spirito Santo ha un modo di
ragionare, di comportarsi e di operare che sembra presti la bocca e le mani a
Dio».
«La vita spirituale non è metodo – scriveva nell’Apostolato delle edizioni –, e perciò si
istruisca ed educhi alla sveltezza della docilità allo Spirito Santo». Credo
che in queste parole ci sia un tocco della propria esperienza personale, così
come quando, rivolgendosi alle Figlie di San Paolo, afferma: «Quando un’anima
è ripiena
di Spirito Santo ha un modo di ragionare, di comportarsi e di operare che sembra presti
la bocca e le mani a Dio».
Il frutto della propria personale docilità allo Spirito
traspare anche dal metodo che insegna per la propaganda libraria: «Contate
molto
sullo Spirito Santo che è in voi; che illumini, che insegni le vie, che
conforti, che porti grazia particolare anche a quelli che
devono accoglierci, perché il vostro passaggio è il passaggio di una
grazia».
Nell’opera Donec
formetur Christus in vobis, con il suo solito stile schematico, sintetizza l’azione
dello Spirito in termini di illuminazione e di luce, quella luce di cui tante
volte si è sentito inondato lungo tutta la vita: «Siamo in necessità estreme,
perché in tutto, sempre, siamo in bisogno di luce, grazia dello Spirito Santo,
perché solo nella grazia e luce divina, vi può essere merito, forza, Chiesa,
Sacerdozio, stato religioso. Donde: escludere del tutto la vana compiacenza e
le mire vane: “soli Deo honor et gloria”; (...) stare in stato di preghiera e
supplica abituale onde ottenere grazia, luce, misericordia dallo Spirito Santo.
(...) dovendosi creare una vita nuova, sacerdotale, religiosa, cristiana, vi è
continuo bisogno di Spirito Santo».
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