«Vi è più gioia nel dare
che nel ricevere!». Così leggevamo nella traduzione della CEI del 1974. Nel
testo greco non c’è però la parola “gioia”, ma il termine “beato”, makarión. La nuova traduzione del 2008
dice: «Si è più beati nel dare che nel ricevere!». Letteralmente: “è più beato
dare che ricevere”. È dunque anche questa una beatitudine, perché riempie il
cuore di gioia!
Siamo davanti ad una
beatitudine rimasta un po’ nascosta a causa della precedente traduzione, ed è
proprio di Gesù, anche se non è riportata nei Vangeli. Non tutte le sue parole
sono infatti state conservate; «se fossero scritte una per una – annota
Giovanni al termine del Vangelo – penso che il mondo stesso non basterebbe a
contenere i libri che si dovrebbero scrivere» (21, 25). Eppure alcune delle sue
parole non scritte nei Vangeli sono rimaste comunque. Una delle più famose, ad
esempio, è quella che leggiamo nel Vangelo apocrifo secondo Tommaso: «Chi è
vicino a me è vicino al fuoco».
La beatitudine del dare
è tramandata dall’apostolo Paolo, che la ricorda al termine del suo discorso
agli anziani della chiesa di Efeso convocati a Mileto prima di imbarcarsi per
Gerusalemme: «In tutte le maniere vi ho mostrato che i deboli si devono
soccorrere lavorando così, ricordando le parole del Signore Gesù, che disse:
“Si è più beati nel dare che nel ricevere!”» (Atti 20, 35).
In questo detto sembra
che Gesù faccia riferimento alla sua esperienza. Il massimo dell’amore, ha
affermato parlando di sé, è “dare la vita per gli amici”. Ha poi piegato che
egli è venuto perché abbiamo la vita e l’abbiamo in abbondanza, presentandosi
come il buon pastore che “dà la vita” per le sue pecore, liberamente, con gioia
(cf Gv 10, 10-11.18). Ha sperimentato
per primo che dà più gioia dare che ricevere, rendendolo “beato”, felice.
Se Paolo riporta questo
detto del Signore è perché anche lui s’era proposto di fare della vita un dono,
soccorrendo soprattutto i poveri. Lo faceva raccogliendo fondi per loro,
specialmente per quelli della prima comunità di Gerusalemme, ma anche lavorando
con le proprie mani. Tesseva tende, mestiere imparato dal padre a Tarso, la sua
città natale, per il proprio sostentamento e per avere di che aiutare gli
altri.
Proprio l’ultima
raccomandazione alle chiese da lui fondate è di soccorrere i poveri. A sostegno
di questo invito riporta le parole di Gesù. «Si è più beati nel dare che nel
ricevere!» per Paolo non è soltanto una citazione, ma la sua stessa esperienza,
confermata dalla beatitudine di Gesù. Anch’egli s’è sentito beato nel donare i
suoi beni e la sua vita per i fratelli. Per questo raccomanda, a sua volta, «di
fare del bene, di arricchirsi di opere buone, di essere pronti a dare, di
essere generosi, mettendosi così da parte un buon capitale per il futuro, per
acquistarsi la vita vera» (1 Tm 6,
18-19). Beato dunque chi dona, perché donando trova la felicità.
Il vero dono non si fa per
ricevere il contraccambio, sarebbe commercio. «Quando offri un pranzo o una
cena – disse una volta Gesù –, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né
i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino
anch'essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un
banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non
hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei
giusti» (Lc 14, 12-14). Si ama perché l’amore non può non amare, trova in sé la ragione dell’amare.
«L’amore – scriveva san Bernardo commentando il Cantico dei Cantici – non cerca
ragioni, non cerca vantaggi all’infuori di Sé. Il suo vantaggio sta
nell’esistere. Amo perché amo, amo per amare». Siamo fatti per essere dono
l’uno per l’altro e possediamo veramente soltanto quello che doniamo.
Sembra qualcosa lontano
dalla realtà, dalla mentalità comune. Verrebbe da dire che è vero il
contrario: è più beato chi riceve che chi dà, che c’è più gioia nel ricevere un
dono, un favore, un gesto di bontà che nel dare. Meglio ricevere e accumulare che donare. Cosa ci si guadagna a dare? Eppure
donando si riceve, si cresce in umanità, ci si realizza come persone, si fa del
bene a se stessi. In una società violenta, che si vanta della concorrenza,
anche sleale, della sopraffazione, occorre testimoniare il valore della
gratuità, dell’attenzione all’altro, specialmente del più debole. Come una
mamma, che in famiglia ama perché ama e si sacrifica con gioia per i suoi
proprio perché ama. Amando costruiamo la felicità degli altri e, insieme,
troviamo la nostra felicità.
Nel donare c’è
soprattutto la ricompensa da parte di Dio, che «ama chi dona
con gioia» e «ha potere di far abbondare… ogni grazia», in modo da possedere
«sempre il necessario in tutto». «Colui
che dà il seme al seminatore e il pane per il nutrimento – assicura l’apostolo
Paolo –, darà e moltiplicherà anche la vostra semente e farà crescere i frutti
della vostra giustizia» (2 Cor 9,
7-10).
Nessun commento:
Posta un commento