giovedì 18 aprile 2019

Venerdì santo tra le ciminiere





Poco tempo fa mi sono fermato a guardare i locali dove lavorava mio babbo quando ero ancora un bambino. Era una azienda di filati e stoffe, come ce n’erano a centinaia a Prato.
Mi piaceva andare da lui, nel suo ufficio. Mi attivano la spillatrice, il vasetto di colla bianca Coccoina, che si spandeva con un pennellino piatto riposto nella custodia al centro del barattolo, la macchina da scrivere sulla quale ho imparato a comporre…
Ormai tutto è cambiato. Evidente l’usura del tempo, i cambi di d’uso. Ora l'edificio ospita un centro di accoglienza per profughi…
Tutto è cambiato, ma rimane ancora, sullo sposto grande di metallo che dava accesso agli uffici, la piccola ceramica con la Madonna. Una iconcina dozzinale, che nessuno ha rimosso, dopo settant’anni.
Chissà se i cinesi o gli immigrati di mezzo mondo che passano di lì alzano mai gli occhi per guardarla…
Sono stato contento di rivederla.

Anni fa ho scritto su questo blog che il mio primo ricordo del venerdì santo è localizzato proprio in quell’ambiente di lavoro, tra stoffe e filati.
Mi trovavo lì, dal babbo, quando, alle tre in punto, tutte le sirene delle fabbriche si misero a suonare. Solitamente suonavano per scandire i turni di lavoro. Quella volta suonavano per interrompere il lavoro invitando a un attimo di raccoglimento e di silenzio: chiamavano alla preghiera. E il babbo si fermò, in mezzo al piazzale: “È l’ora in cui è morto Gesù”, mi disse; si fece il segno della croce e io con lui.
Ho ancora nelle orecchie il sibilo prolungato delle sirene e negli occhi, indelebile, quel segno di croce nel silenzio della contemplazione. Un venerdì santo vissuto non nel tempio, ma come Gesù fuori le mura della città santa, in luogo secolare; senza il suono delle sacre campane dall’alto dei campanili che in quel giorno tacevano secondo tradizione, ma con quello delle sirene delle fabbriche dall’alto delle ciminiere. La croce mi si confondeva con le ciminiere, l’opera di Dio con il lavoro dell’uomo.


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