L’Apocalisse, ultimo libro della Bibbia, è
un’intera promessa volta all’avvento di cieli nuovi e di una terra nuova. Ci
fermiamo al suo inizio, quando Giovanni sentì la parola del Signore che lo
invitava a scrivere a sette chiese situate nell’Asia minore, la parte
occidentale dell’attuale Turchia. Siamo intorno all’anno 90 e le sette lettere
ci danno uno spaccato vivo della situazione dei cristiani di allora. Ogni
lettera costituisce un momento della verità rivolto ad ognuna delle comunità destinatarie,
con la denuncia dei loro fallimenti e insieme l’elogio del loro impegno nel
vivere il Vangelo. Al termine di ogni lettera una promessa. Pur espresse con immagini
diverse, le promesse, come vedremo, hanno un contenuto comune. Le leggiamo ad
una ad una.
Alla chiesa di Efeso: «Al vincitore darò da mangiare
dall’albero della vita, che sta nel paradiso di Dio» (2, 7). Alla chiesa di
Smirne: «Il vincitore non sarà colpito dalla seconda morte» (2, 11). La
promessa è quella di poter finalmente mangiare i frutti dell’albero della vita che
troveremo nel paradiso che appare al termine dell’Apocalisse, ossia al termine
della storia umana (cf. 22, 2). Era l’albero piantato nel giardino dell’Eden, quell’albero
che avrebbe dato la vita immortale e che Dio aveva proibito di mangiare. La
vita infatti non la si conquista autonomamente con le proprie forze, è sempre
un dono da accogliere con gratitudine. La promessa adesso è che si potranno mangiare
i frutti di quell’albero e raggiungere l’immortalità, tanto desiderata, partecipando
della vita stessa di Dio (Efeso), così da sconfiggere la morte (Smirne).
Alla chiesa di Pergamo: «Al vincitore darò la manna
nascosta e una pietruzza bianca, sulla quale sta scritto un nome nuovo, che
nessuno conosce all’infuori di chi lo riceve» (2, 17). La manna, al pari del
frutto dell’albero della vita, è il nutrimento celeste; la pietra bianca,
colore della vittoria e della gioia, è come un lasciapassare per il cielo; il
nome nuovo indica la rinascita della persona che rende degni del cielo.
Alla chiesa di Tiàtira: «Al vincitore (…) darò autorità
sopra le nazioni (…), con la stessa autorità che ho ricevuto dal Padre mio; e a
lui darò la stella del mattino» (2, 26.28). La promessa è che la potenza e
gloria (questo il significato della stella), propri del Messia e del Signore
risorto, sono ora donate a tutta la comunità dei credenti. È il definitivo superamento
della debolezza e fragilità umana.
Alla chiesa di Sardi: «Il vincitore sarà
vestito di bianche vesti; non cancellerò il suo nome dal libro della vita, ma
lo riconoscerò davanti al Padre mio e davanti ai suoi angeli» (3, 5). Le vesti
bianche, ancora segno di purezza, gioia, potenza e della bellezza
trasformatrice della grazia, indicano che la comunità è partecipe della
risurrezione di Cristo e del suo destino. L’immagine del nome di ognuno scritto
con inchiostro indelebile nel libro della vita significa che tutta la comunità
è resa salda e stabile nella vita nuova, mostrando con chiarezza la propria identità
evangelica, tutta amore, al punto che Gesù potrà mostrarla con orgoglio al
Padre e agli angeli.
Alla chiesa di Filadelfia: «Il vincitore lo
porrò come una colonna nel tempio del mio Dio e non ne uscirà mai più. Inciderò
su di lui il nome del mio Dio…» (3, 12). La colonna significa stabilità e
bellezza. Ogni membro della comunità entra a far parte integrante della casa di
Dio. Per questo può portare il suo nome, nientemeno che il nome di Dio, inciso
a fuoco nella nostra più profonda identità! Saremo davvero come Dio.
Alla chiesa di Laodicèa: «Il vincitore lo farò
sedere con me, sul mio trono, come anche io ho visto e siedo con il Padre mio
sul suo trono» (3, 21). Se abbiamo il nome di Dio, come promesso alla chiesa di
Filadelfia, logico che sederemo sul trono del Figlio di Dio, condividendone il
destino finale e portandoci nel cuore di Dio.
Tutte queste promesse, che con immagini diverse
ci parlano di cielo, di pienezza di vita, di divinizzazione, si compiranno alla
fine dei tempi? Proprio quest’ultima immagine che fa vedere seduti sul trovo di
Dio, è uguale a quella impiegata dalla Lettera agli Efesini: «Dio, ricco di
misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato (…) ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù»
(2, 4-6). Per Paolo è una realtà già attuata (usa il verbo al passato! “ci ha
fatto sedere”) per Giovanni è in via di attuazione (“farò sedere”).
Come tutte le promesse di Gesù anche queste,
rivolte alle chiese dell’Apocalisse, le possediamo già, anche se non ancora in
pienezza, e pur sempre nella speranza del loro compimento. Ne abbiamo la
caparra, un pegno, la garanzia. I cieli si sono aperti e già il cuore è
proiettato là: «Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù,
dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose
di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra
vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, vostra vita, sarà
manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria» (Col 3, 1-4). È così, tra l’altro, che si
è “vincitori”, parola che torna sette volte nei testi dell’Apocalisse, a
indicare i destinatari delle promesse.
Con questa certezza si chiude la serie di
questi brevi 18 articoli su alcune delle innumerevoli promesse che Gesù ci ha
rivolto.
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