Nel
computo delle “sette” parole di Gesù in croce non viene mai calcolato l’ultimo
suo grido.
In
effetti non è una parola, ma un grido inarticolato.
Lo
riportano sia Marco che Matteo.
Per
Marco l’ultima parola è: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato”. Ma dopo
di questa ecco improvviso, terribile, inatteso, un forte grido: “Gesù, dando un
forte grido, spirò” (15, 37).
Anche
per Matteo, dopo l’ultima identica parola, “Gesù di nuovo gridò a gran
voce ed emise lo spirito” (27, 50).
Gesù
muore in maniera drammatica. Non una parola, ma un grido, con
tutto il fiato che gli rimane, l’ultimo. Quest’urlo, più di tutte le altre
parole, lascia intuire quello che Gesù può aver vissuto. Ha fatto suo, ogni
angoscia, ogni disperazione, ogni grido.
E poi
il gran silenzio, senza risposta.
Tutte
le altre sette parole dicono qualcosa di grande, sono un insegnamento, meritano
di essere ascoltate, meditate, commentate, come ha fatto la grande tradizione
cristiana.
Questa
ottava è quasi scandalosa, la si sorvola facilmente, tanto è enigmatica.
Ma
forse è la più bella, quella che, senza parole articolate, dice il mistero che
si sta compiendo su quella croce, talmente grande che è indicibile.
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