Lasciata Nazareth risaliamo fino a Gerico. È il cammino compiuto
tante volte da Gesù lungo il fiume Giordano. I monti di Gelboe sono ricoperti
appena da un tenue verde, senza perdere la loro austerità, mentre continuano a
piangere la morte del re Saul e di suo figlio Gionata, cantati nella
indimenticabile elegia di David:
“O monti di Gèlboe, non più rugiada né pioggia
su di voi
né campi da primizie,
perché qui fu rigettato lo scudo degli eroi...”
Per la prima volta raggiungo il guado meridionale del Giordano,
tra Israele e Giordania, il luogo nel quale Giovanni Battista compì la sua
missione e battezzò Gesù. Un piccolo corso d’acqua per una grande storia.
Proprio lì i cieli si sono aperti, è sceso lo Spirito, il Padre
ha parlato.
È storia, storia vera, in luoghi veri.
Mi fa impressione trovare nelle varie chiese - Nazareth,
Magdala, Gerico - messali e lezionari propri che, ai brani evangelici,
aggiungono, “qui”, “in questo luogo”, “in questa città”, a sottolineare che l’evento
biblico che si legge è accaduto proprio in quel posto. Storia e geografia si
sono dati appuntamento in questo straordinario lembo di Terra.
Così per Gerico, dove si materializzano gli incontri di Gesù con
Bartimeo, Zaccheo. Ascoltiamo lo stesso appello, oggi come allora, ad
accogliere Gesù nella propria casa, a lasciare tutto, assieme al mantello, per
seguirlo.
Il pomeriggio ci ha donato la visita a Qumran, consentendoci di
rituffandoci in siti lontani e nei rotoli delle Scritture, e un momento di
riposo sulle rive del mar Morto.
Poi finalmente si “sale” a Gerusalemme sostando, come di dovere,
al Wadi Qelt, nel bel mezzo del Deserto di Giuda, per godere il tramonto. Nella
gola profonda riposa silenzioso il monastero di San Giorgio. Non posso fare a meno
di ricordare apa Pafnunzio, perduto nel suo deserto...
“Non era il deserto dalle dune di sabbia d’oro plasmate dal
soffio del vento. era un deserto duro, sassoso, d’un’altra austera bellezza,
con rocce che sfumavano dal rosa pallido al verde azzurro, al rosso, al nero
cupo.
Per uomini dalla rude tempra come apa pafnunzio
era luogo ideale per il lungo cammino dell’ascesi.
Arida e spoglia, senza beni né comodità,
quella lontana regione non consentiva distrazione alcuna, invitava piuttosto a
una separazione progressiva e radicale da ogni attaccamento, per centrarsi su ciò̀
che rimane. tutto vi era messo a tacere, perché una voce soltanto potesse
essere udita e riconosciuta”.
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