Subito
dopo Castro la natura subisce un cambiamento. Lo scenario arido e selvaggio, dai
mille toni ocra e marrone, pur interrotto da brevi boschi di pini, lascia il
posto al verde intenso degli ulivi che salgo su per le alture che costeggiano
la strada, mentre a sinistra continuano gli strapiombi a mare.
Riprendo
la Provinciale. Non so se contemplare gli ultimi lembi del Mare Adriatico,
oltre il quale si intravedono azzurrine le montagne dell’Albania, o gli uliveti
che si arrampicano, trattenuti da terrazze di possenti muri a secco, bianchi per
l’intensa luce del sole.
Il ponte
Celio, che attraversa a venti metri d’altezza un’insenatura tra ripide rocce, invita
ad una sosta e a scendere fino all’acqua limpidissima.
A mano a
mano che ci avviciniamo a Leuca si fanno sempre più frequenti le antiche
costruzione in pietra, coniche o quadrate, disseminati tra gli uliveti o nei
campi, abitazione temporanee per i lavori agricoli, il deposito degli attrezzi.
Alcune costituiscono degli autentici villaggi che richiamano i più famosi
trulli di Alberobello. Le soste si moltiplicano e salgo su per le balze per
ammirare da vicino questi capolavori d’arte contadina.
Di tutt’altra
fatture le torri di avvistamento e di difesa dalle incursioni turche.
Lascio
per ultimo il santuario in cima alla lunga scalinata, con accanto il faro che gli
fa silenziosamente da guardia.
La Via Romea
terminava qui, nella casa di Maria. L’ho interpretato come una parabola del
cammino della vita.
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