“Nessuno strapperà dalla mia mano le
mie pecore”, aveva detto Gesù. “Nessuno può strapparle dalla mano del Padre”. Erano
le stesse mani: “io e il Padre siamo una cosa sola”.
Come teneva le mani, Dio?, si trovò
a domandarsi apa Pafnunzio. Una domanda strana. Tante volte si ritrovava
bambino e le più bizzarre fantasie gli danzavano nella testa calva di vecchio.
Le poggiava a terra come quando egli
si prostrava per le metanie davanti all’icona del Pantokrator? Le rivolgeva in
avanti come quando egli rimaneva immobile con le braccia alzate e spalancate davanti
all’icona della Theotokos?
Gli tornarono alla mente le parole
del profeta Isaia: “Ecco, ti ho disegnato sulla palma della mia mano”. La sinistra
di Dio doveva essere posata sulla destra, perché su quella aveva tatuato un nome:
“Pafnunzio”.
L’apa si smarrì di gioia in questo
pensiero: sorretta dalla mano destra, la sinistra di Dio stava sempre davanti i
suoi occhi ed egli vi leggeva il proprio nome, lo aveva costantemente sotto i suoi
occhi e di continuo lo pensava e lo amava.
Gli salirono dal cuore, seminate
nella lenta e prolungata ruminatio, altre parole del profeta: “Ti ho nascosto
sotto l’ombra della mia mano”. La mano sinistra, tatuata col nome, rimaneva
nella medesima posizione, mentre la destra si muoveva e poggiava sopra la sinistra,
a protezione.
Apa Pafnunzio si sentiva non
soltanto pensato e amato, sotto lo sguardo paterno, ma pienamente al sicuro,
senza che avesse a temere pericolo alcuno.
Adesso erano i salmi che gli
tornavano alla mente: “Se prendo le ali dell'aurora per abitare all'estremità
del mare, anche là mi guida la tua mano e mi afferra la tua destra”; “Io sono
con te sempre: tu mi hai preso per la mano destra”.
Apa Pafnunzio vedeva il braccio di
Dio distendersi e la mano sinistra scendere in basso per afferrare la propria
mano, piccola come quella di un bambino nella mano grande e forte del papà.
Allora si lasciava guidare sicuro e contento, pieno di fiducia.
Gli apparve infine il profeta
Geremia a ricordargli: “Come l'argilla è nelle mani del vasaio, così voi siete
nelle mie mani”.
Apa Pafnunzio si sentì allora
avvolto dalle potenti e delicate mani di Dio che lo lavoravano e lo plasmavano costantemente.
Sì, era nelle mani di Dio. Era in
buone mani!
Il giorno seguente si recò al fiume.
Sull’altra sponda apparve amma Anna. Le confidò che le mani di Dio giocavano
con lui e gli si muovevano di continuo attorno con estrema premura.
“Anch’io”, le confesso amma Anna, “sento
la mano di Dio. Con me si muove diversamente, forse perché non ho una barba
fluente come la tua. La sua mano mi accarezza”.
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