In questi giorni la liturgia ci
ripropone il discorso del pane di vita rivolto da Gesù ai discepoli e alla
folla a Cafarnao.
Chissà perché, leggendo questi
vangeli, mi sono venute in mente i reperti etruschi trovati nella mia terra ed esposti
nel Museo di Palazzo Pretorio, che ho visitato il lunedì di Pasqua.
La maggior parte delle steli sono
funerarie. Ricorrente il tema del viaggio – anche a cavallo – verso gli inferi
e del banchetto – non si sa sia quello celebrato attorno alla tomba in ricordo
dei vivi o quello che si spera di celebrare nel regno dei morti.
Ciò che maggiormente è rimasto di
questo popolo antico sono le tombe e gli oggetti ritrovate in esse, segno della
centralità che aveva la morte e il pensiero ossessivo dell’al di là. Eppure
sembra che il mondo dell’oltretomba, nelle loro credenze, fosse tenebroso,
pieno di mostri, terribile e temuto. Forse proprio per questo si affidavano ai
morti ciò che c’era di più prezioso e utile, perché fosse loro di conforto in
quel mondo così misterioso, di cui si sapeva troppo poco.
Le parole di Gesù mi sembrano la
risposta alle attese degli Etruschi e a quelle di tutti i popoli, di ogni uomo
e donna.
Gesù assicura la “vita eterna”, una
parola che non dice soltanto una continuità senza fine, ma una qualità di vita,
una pienezza di gioia che appaga appieno, in un modo che neppure possiamo
immaginare, tanto va al di là di ogni attesa.
È una vita destinata a “tutti”,
perché tutti, dice Gesù, sono attirati a lui, fonte di vita – è il “pane di
vita” – dal Padre. Tutti!
In proposito: il Vangelo cambia la
citazione della Scrittura. In Isaia si dice “Tutti i figli di Dio saranno
ammaestrati da Dio”; mentre Gesù dice: “Tutti saranno ammaestrati da Dio”;
tutti, non soltanto i figli di Dio, ossia gli Ebrei. Il Padre dà la possibilità
a tutti di conoscere chi è Gesù e conduce tutti a lui e in lui tutti possono
avere “vita eterna”. Tutti!
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