La grandezza di Roma stava e sta nella sua storia millenaria, nei suoi monumenti,
nella sua cultura giuridica e letteraria. Tutto è iniziato il 21 aprile 753
avanti Cristo.
È proprio questo riferimento, nella stessa datazione di nascita, a
Cristo, che rompe l’incanto dell’antica Roma. Il riferimento non è più al Natale
di Roma, ma al Natale di Cristo. Che vogliamo farci, quest’ultimo è una realtà
troppo forte!
Domani a Roma si lavora. Si fa festa invece il 29 giugno, per i santi
patroni della città, Pietro e Paolo: hanno soppiantato Romolo e Remo.
Quando i pellegrini si partivano da capo al mondo per venire alla città
santa, non venivano per ammirare i resti del Colosseo e degli antichi templi o
per ricordare le gesta degli imperatori, ma per pregare sulla tomba di Pietro.
Vi torno anch’io per sperimentare, ancora una volta, la misericordia di
Dio.
“Simone di Giovanni – gli domandò Gesù nel lago dopo la risurrezione –
mi vuoi bene?”. Glielo chiese per tre volte e per tre volte Pietro gli rispose
che lo amava, che lo amava veramente. Tre volte, quasi a cancellare le tre
volte che lo aveva rinnegato.
La tomba di Pietro è la testimonianza dell’infinita misericordia di Dio
verso di noi. “Allontanati da me, perché sono un peccatore”, aveva detto Simone
a Gesù dopo la prima pesca miracolosa. Proprio perché peccatore Gesù non si
allontana da lui. Non è venuto proprio per pubblicani e peccatori?
Pietro l’ha ben capito se nella
sua prima lettera scrive che «Cristo è morto una volta per sempre per i
peccati, giusto per gli ingiusti» (3, 18), e che «dalle sue piaghe siete stati
guariti» (2, 25).
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