All’aeroporto di
Fiumicino incontrai Herder Camada. Parlai un po’ con lui, lo aiutai a portare i
bagagli, gli disse la mia ammirazione e la mia stima. E lui: “Quando ti lodano
mi dispiace, vuol dire che non sono ancora trasparente, perché… gli uomini
vedano le vostre opere buone e glorifichino il Padre”.
Il 21 dicembre 1986 scrivevo
da Kinshasa le prime impressioni: “Oggi, domenica, la cappella era piena di
gente. I canti sono bellissimo, ritmati con i tamburi e il battito delle mani.
La polifonia ce l’hanno nel sangue. Tutta la gente canta con gli scolatici che,
per l’occasione, hanno la loro bella veste bianca. Non si può non restare
incantati davanti ad una liturgia così viva, così partecipata. Ho confessato una
decina di uomini. Mi ha impressionato ascoltare la supplica accorata di questa
gente che chiede il perdono e poter parlare della misericordia e dell’amore di
Dio”.
Lo stesso giorno uno
sguardo sulla città: “Kinshasa, per uno come me che per la prima volta mette
piede in una città del terzo mondo, è una visione impressionante, sconvolgente
e affascinante nello stesso tempo. Tutti i nostri criteri di città qui vanno in
frantumo. 3 milioni di abitanti sono nascosti nella foresta. Non ci sono
palazzi, se si eccettua quelli lungo la grande via commerciale. Sono tutte
villette, case, casette arrangiate, baracche affogate nel verde dei bananeti,
delle palme, dei campi coltivati a mais, arachidi, manioca. Per le strade piene
di buche si va all’arrembaggio: camion stracarichi di gente, pulmini che
scoppiano da tutti i lati di robe e di persone… Bancarelle ad ogni angolo,
polvere, negozietti, immondizie, folla in continua transumanza… è uno
spettacolo unico che mi lascia col fiato sospeso”
Ed ora eccomi di nuovo qua, per questa nuova avventura congolese...
Ed ora eccomi di nuovo qua, per questa nuova avventura congolese...
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