La nostra prima giornata palermitana si è conclusa con la
visita che il sindaco Leoluca Orlando, è venuto a farci nella chiesa di santa
Maria dei miracoli, dove abbiamo celebrato la messa. Eravamo lì per conoscere
il ministero degli Oblati tra i migranti: profughi, gente di mare, circensi, immigrati…
Alcune persone dalle Filippine e dall’Isola Mauritius erano venuti ad
accoglierci e a cantare alla messa. Alla fine il sindaco mi ha dato un caloroso
abbraccio.
Non poteva terminare meglio una giornata tutta dedicata a
seguire i passi di sant’Eugenio che ha vissuto tre anni della sua vita, tra i diciassette
e i vent’anni, in questa splendida città. Seguendolo abbiamo visitato i luoghi
più belli, ad iniziare dal porto, dove sant’Eugenio giunse il 6 gennaio 1799 da
Napoli, sulla nave dell’Ammiraglio portoghese Puységur. Era l’ennesima tappa
del suo esilio dopo Nizza, Torino, Venezia, Napoli. Poi il palazzo Branciforte,
da poco riportato agli antichi splendori, la chiesa di sant’Ignazio all’Olivella,
la Casa Professa con il più bel barocco palermitano, il quartiere degli “onesti
conciatori”, il palazzo Ventimiglia, il palazzo Buttera alla Kalsa, la cattedrale,
i mosaici della chiesa della Martorana… Ogni luogo ha una sua storia, un
episodio da raccontare, dalle avventure della corte alle feste in onore di
santa Rosalia, dagli interessi frivoli del re Ferdinando IV ai passatempi dei
nobili francesi in esilio. Grazie all’erudizione e alla passione di Vincendo
David e di Ileana Chinnici, abbiamo conosciuto la regina Carolina, l’ammiraglio
Nelson, la duchessa di Cannizzaro, principessa di Larderia. Soprattutto abbiano
visto rivivere sant’Eugenio, con le sue inquietudini, la sua gaiezza giovanile,
la nostalgia di Dio, la generosità verso i poveri…
Viveva tra feste e salotti: «Mille oggetti di dissipazione
m’invadono mio malgrado la mente e il cuore – scriveva alla madre – e li
distolgono dalla pietà».
Si infatua per le letture, soprattutto storiche. Si lascia
prendere da una crescente passione letteraria: Racine, Corneille, Molière,
Madame de Sévigné, Voltaire, Rousseau, Petrarca, Ariosto, Tasso, Dante,
Guicciardini... Fra tutto quel pavoneggiarsi di blasonati dai nomi illustri e
dai titoli roboanti, pretende che il padre gli dia dell’eccellenza; prende lezioni
di tiro e di equitazione; dà libero sfogo al suo temperamento piuttosto
irascibile con teatrali sfuriate, e coltiva il gusto amaro dei giudizi
avventati e perentori su chiunque, anche su Pio VII. Un comportamento che manifesta
un forte bisogno giovanile di emancipazione e di affermazione di sé.
Ma, in fondo, Eugenio non riesce ad abbandonarsi a quella
vita mondana, come vorrebbe far credere. Da una parte è attratto dalla vita
fatua di corte e si lascia un po’ stordire da essa. Dall’altra ama i colloqui
spirituali con la duchessa di Cannizzaro e con i padri Filippini dell’Olivella,
partecipa alla messa dello zio Fortunato e riceve i Sacramenti. A volte, e
proprio quando la baraonda mondana sembrava sommergerlo con la sua esuberanza
scatenata quanto fittizia (l’elegante e imponente palazzo Buttera, dove si
recava per partecipare alle feste, ci lascia intuire come si vivesse allora),
egli confessa: «Mi sento stringere il cuore e prendere dalla tristezza, mi
apparto da quella gente che mi pare impazzita e mi abbandono a pensieri
malinconici, fin quasi alle lacrime...».
Un itinerario appassionante alla ricerca dei segni di una
vocazione che maturerà gradatamente e sarà nascere un grande santo.
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