Basta un piede fuori del portellone
dell’aereo ed eccomi assaltato da un botto di intensissimo caldo umido. È il
primo impatto con l’Africa equatoriale. Lo sai che è lì che ti aspetta, ma è
sempre nuovo.
Quando venni per la seconda volta in
Congo, una ventina d’anni fa, l’arrivo a Kinshasa fu un trauma terribile.
Appena sceso dall’aereo fui circondato da un nuvolo di persone che mi strapparono
di mano il passaporto, la borsa, mentre riuscii a trattenere a stento la
tessera delle vaccinazioni. Condotto in un ufficio della polizia subii un
interrogatorio senza sosta. Poi di nuovo l’assalto di mille persone che niente
avevano a che fare con il settore interno dell’aeroporto.
È il meglio che ci si possa aspettare
dopo un lungo viaggio.
Giorno di Pentecoste, quarantesimo anniversario
dell’ordinazione: non posso mancare di celebrare la messa proprio oggi. Così inizio
la giornata alle 3 del mattino, per una Eucaristia solitaria, ma sempre
universale, cielo e terra presentissimi.
Di nuovo in volo. Sotto, per tre ore,
il deserto dell’Egitto e del Sudan si distende in sempre nuovi disegni e fantasiosi
arabeschi. È la prima volta che sorvolo questa parte della terra. Resto
incantato dalle indefinibili variazioni di gialli, ruggine, rossastri, marroni,
dalle distese piatte, increspate, rocciose, sabbiose, dalle catene di montagne,
dalle sagome di fiumi di sabbia ramificati capillarmente, come vene della
terra. Uno spettacolo da far trattenere il viso incollato all’oblò e il fiato
sospeso.
Gradatamente i colori cambiano con
il lento passaggio a savane e infine alla foresta tropicale, fin quando lo
scendere della sera incupisce la foresta equatoriale. Il cielo intanto si
ammanta di nubi dalle più impensate fogge e dai colori vivaci e poi tenui, e la
notte amalgama i paesaggi nel suo manto nero.
Quant’è bella la terra e che artista
fantasioso il Creatore…
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