Questa immagine della Madonna del Natale che mi è giunta dal Canada mi ricorda che siamo davvero alla vigilia di Natale |
A seguito dei blog sulla preghiera mi hanno chiesto; "Perché, pregare se quanto chiediamo non
viene esaudito? È inutile. Più ancora, la preghiera lascia depressi perché le attese
sono frustrate".
È un interrogativo che ha
sempre agitato il cuore di ogni credente.
Giobbe si lamentava con Dio:
«Io grido a te, ma tu non mi rispondi, insisto, ma tu non mi dai retta» (30, 20).
Lo stesso lamento nel Salmo 22, ripreso da Gesù sulla croce:
«Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?...
Dio mio, invoco di giorno e non rispondi, grido di notte e non trovo
riposo» (2-3).
Guai alle risposte
facili davanti a interrogativi drammatici di chi vede morire un figlio per
il quale ha pregato Dio con tutte le forze.
Vorrei non rispondere alla domanda che mi è stata rivolta.
Ma io non sono Dio, al quale è consentito non rispondere. Provo così a
balbettare. Forse altri potranno aiutarmi a rispondere.
So bene che Paolo ha
già risposto a questa domanda quando lui stesso si è accorto che non otteneva
quanto chiedeva a Dio: «Non sappiamo neppure cosa sia conveniente domandare»,
si diceva, occorre «che lo Spirito venga incontro alla nostra debolezza» e ci
insegni cosa chiedere, cosa è bene per noi e cosa non è bene (Rm 8, 26). Per tre volte aveva domandato
che gli fosse allontanata la tentazione, e si sentì rispondere di no, «Ti basta
la mia grazia» (2 Cor 12, 9). Dio non
ci esaudisce. Già, perché? Forse perché Dio
sa meglio di noi come devono andare le cose. Perché non fidarsi? Se davvero
è Amore vuole sicuramente il bene nostro e lui vede più in là di noi. Ci basta
la sua grazia.
C’è poi quella benedetta libertà, di cui Dio ci ha fatto
dono e senza la quale non potremmo né vivere né amare. Davanti ad essa lui
stesso si ferma. Eppure anche al rifiuto davanti ai suoi doni, egli sa come trarre
il bene dal male, prendendosi il suo tempo.
Mi sembra ci siano altre piste che possono orientare verso
una possibile risposta a questo dramma.
Se la richiesta è
sincera essa genera un rapporto personale con Dio. È questo il frutto della
preghiera vera: parlare con Dio, confidarsi con lui, stare insieme. Può
risponderci di sì o di no, oppure può starsene in un silenzio per noi penoso,
ma tutto questo non fa altro che metterci davanti a lui, per portarci
lentamente in comunione con lui.
Chiedergli il possibile e l’impossibile ci aiuta inoltre a prendere coscienza della nostra debolezza,
piccolezza, fragilità, impotenza, ci fa umili, ci fa riconoscerci bisognosi di
aiuto. Ci rende anche attenti alle necessità degli altri, deboli, piccoli, fragili,
impotenti come noi e ci invita ad andare in aiuto a chi ne ha bisogno. Anche in
questo la preghiera si fa via di
umanizzazione.
Chiediamo, continuiamo a chiedere; quello che otterremo sarà
senz’altro una comunione sempre più profonda e intima con Dio.
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