La preghiera è un rapporto, è vita. Eppure tale rapporto ha
bisogno di rendersi esplicito e di diventare sempre più cosciente. La “preghiera”
deve allora esprimersi nelle “preghiere”.
È come il bambino: sa che è figlio, che è legato ai genitori
dall’amore, ma ha bisogno di dire alla mamma e al babbo: “Ti voglio bene!”, ha
bisogno di abbracciarli. Quando è in difficoltà è normale che gridi: “Mamma!”,
ha bisogno di aggrapparsi a lei. Altre volte vuole semplicemente starle in
collo, per sentirsi sicuro, protetto, per sentire l’affetto.
Così tra marito e moglie: sono già uniti dal matrimonio, lo
sanno che sono legati dall’amore, ma hanno bisogno di dirsi che si amano, di
esprimere concretamente l’amore reciproco, altrimenti l’affetto si affievolisce
e il legame si allenta.
Anche tra amici c’è bisogno di confrontarsi, di discutere,
di esprimersi, di confidarsi... È così che si rinsalda l’amicizia.
Tutti questi atteggiamenti sono veri anche nel rapporto con
Dio e si esprimono soprattutto nelle diverse forme di preghiera: la benedizione, la lode, l’adorazione, la
domanda, l’intercessione, il ringraziamento; nelle diverse modalità: la
preghiera vocale, la preghiera litanica (ad esempio, il rosario), la
meditazione, la preghiera contemplativa; nella molteplicità dei gesti: il
pellegrinaggio, l’accendere una candela...
Prima di accennare ad alcune di queste varie modalità,
è utile ricordare quanto Gesù chiede: «Quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la
porta, prega il Padre tuo nel segreto» (Mt
6, 6). È la metafora del raccoglimento. Importante è “chiudere la porta”, ossia
avere il coraggio di gettare nel Padre ogni preoccupazione, di svuotare il
cuore donandogli persone e cose per essere libero per poter stare con lui,
facendo tacere tutto il resto. Come possiamo ascoltare la voce del Signore e
parlare con lui se nella nostra stanza parlano tante altre voci?
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