La tramontana è scesa dalle montagne portando
aria buona e l’atteso freddo, spazzando il cielo di nubi e lasciando splendere
il sole, come si conviene alla festa di santo Stefano.
Il duomo di Prato si è affollato per celebrare il santo patrono.
Le chiarine hanno diffuso il suono squillante e gioioso. Gli anziani hanno
partecipato come sempre al pontificale solenne. Non si sono visti invece né
giovani, né bambini né ragazzi, che si muovono ormai su altri circuiti, ignari
delle tradizioni.
Eppure santo Stefano fa venire in mente i giovani, la sua sarebbe
la festa adatta per loro: iniziativa, generosità, coraggio, sincerità.
La teca con il "sasso" della lapidazione di Stefano |
La festa di santo Stefano succede logicamente quella del
Natale: se ieri abbiamo meditato Dio che scende sulla terra, oggi ne
contempliamo già il frutto: l’uomo sale al cielo.
È l’amore che ha fatto scendere il Verbo sulla terra: Dio ha
tanto amare il mondo da mandare il suo Figlio. È l’amore – il martirio, amore
estremo – che ha che ha fatto salire l’uomo al cielo.
L’amore di Dio ha un nome, è Spirito Santo: il Verbo si è
fatto uomo per opera sua. La risposta d’amore dell’uomo è mossa dallo stesso
Spirito effuso nel cuore: Stefano è “pieno di Spirito Santo” (Atti 6,5; 7,51).
Lo Spirito lo fa parlare “con sapienza ispirata”. Stefano è rapito
dalla contemplazione del mistero al punto da trasfigurarlo: ha “un volto come
quello di un angelo”. Vede i cieli aperti, la gloria di Dio e il Figlio dell’uomo
seduto alla sua destra. Eleva una delle più belle preghiere: “Signore Gesù,
accogli il mio spirito”. Chiede il perdono per i suoi uccisori. La venuta di Gesù
non è stata vana.
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