Se è risposta a Dio che parla, la preghiera diventa dialogo, rapporto d’amore con Dio, una comunione reciproca, uno stare con lui. La
definizione più bella è quella offerta da Teresa di Gesù, d’Avila: “Un rapporto di amicizia, un frequente
trattenimento da solo a solo con Colui da cui sappiamo d’essere amati” (Vita, 8, 5).
Come
per Gesù, la nostra preghiera è “tornare a casa”, entrare in Paradiso,
intrattenersi con le Persone della Santissima Trinità, con gli angeli, con
Maria, con i nostri fratelli e sorelle che già sono là.
In Dio
troviamo anche tutta l’umanità, tutta la creazione. La nostra interiorità non è
mai ripiegamento su noi stessi, si dilata su Dio e sul mondo intero, presente
in Dio.
In questo dialogo Dio si impegna totalmente, donandosi fino
in fondo, al punto da darci (non solo dirci) la sua Parola, il Verbo, che è il
Figlio suo, Gesù. Il dire di Dio è dare, darsi.
Anche da parte nostra, se questo dialogo vuole essere
autentico, dobbiamo impegnare tutto noi stessi. Gesù è dispiaciuto quando la
preghiera è fatta con le labbra e non con il cuore, ossia con tutta la vita,
quando si ripete “Signore, Signore” senza compiere la sua volontà.
Vi è dunque uno stretto
nesso tra preghiera e vita, non sono momenti staccati tra di loro. Si prega
vivendo nell’amore e una vita d’amore è preghiera. Tommaso da Celano scrive di san Francesco:
“alla fine non pregava più, era diventato preghiera”.
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