San Salvatore in onda. La denominazione
della chiesa, ricordata già nel 1127, richiama le continue inondazioni del
Tevere sulle cui rive è stata costruita. Basta scendere sotto il presbiterio,
attraverso la scala medievale, per ritrovarsi in un piccolo
ambiente con colonne, trabeazioni e capitelli incassati all’interno delle
murature: siamo nel luogo dell’antica chiesa del XII secolo. Ma sul pavimento
si apre una botola, si scende ancora più in basso, e ci si ritrova all’inizio
del primo millennio, ne periodo di Traiano (98-117), quando lungo le rive del
Tevere si allineavano negozi e piccoli magazzini per lo stoccaggio delle
derrate alimentari che giungevano in città grazie alle imbarcazioni che
risalivano il fiume. Anche oggi, scendendo per scale e botole, mi sono tuffato
nel passato.
Ma sono stato a san
Salvatore in onda perché volevo tuffarmi in un passato più recente, di appena duecento
anni (cosa sono duecento anni con due millenni sotto i piedi?). Oggi è la festa
di san Vincenzo Pallotti e non potevo non fare un salto a salutare lui e gli
amici Pallottini. Sono sì sceso nei sottosuoli, ma soprattutto sono salito
nelle stanze del santo, conservate come quando lui vi dimorava.
San Vincenzo
Pallotti, il “santo romano” per eccellenza.
Le parole del suo
dizionario che più mi colpiscono sono tutto e infinito.
Il tutto
di san Vincenzo è innanzitutto il tutto di Dio. «Dio mio, tutto tutto
tutto...», lo sentiamo ripetere sovente. È capace di continuare a scrivere e a
ripetere indefinitamente - lui vorrebbe che fosse infinitamente - la parola tutto, quasi a scandagliare la vastità
insondabile del mistero divino. Per sottolineare il tutto di Dio congiunge a tutto la parola solo: «Dio tutto, tutto, tutto...», ma anche «solo, solo, solo...»,
quasi ad eliminare ogni possibile concorrenza al tutto di Dio.
La santità di Vincenzo Pallotti è il
riconoscimento, nel vissuto, dell'unicità e della totalità di Dio.
Il tutto di Dio diventa
allora il tutto della creatura, in quanto essa viene resa partecipe di quel
tutto. La convinzione di questa osmosi è affermata da queste parole lapidarie:
«La vita del Padre è mia, la vita del Figlio è mia, la vita dello Spirito Santo
è mia, la vita della Santissima Trinità è mia». Pallotti appare costantemente
pervaso e quasi ossessionato da questa totalità.
La seconda parola, infinito, correlata a tutto, fa intravedere la dimensione
forse più originale della spiritualità di san Vincenzo. Parla di «infinita
perfezione», di «infinita fede, infinita speranza, infinita carità», «infinite
eternità»; vuol dare a Dio una «gloria infinitamente grande»; è disposto a
«patire infinitamente»; vuole vedere dilatati all'infinito i suoi desideri.
Somma passato e futuro
nell'illusione di dilatare il tempo all'infinito. Suddivide il tempo in attimi
infinitesimali per fare di ogni attimo infinitesimale un infinito, così che
dalla loro somma scaturisca un infinito degno dell'infinito di Dio. Vorrebbe
moltiplicare le creature all'infinito perché salga a Dio una lode infinita.
Vorrebbe appropriarsi di tutto il bene delle creature passate presenti e futuri
e moltiplicate all'infinito... «Vorrei amare Dio e averlo amato con perfezione
infinita, da tutta l'eternità e per tutta l'eternità. E intendo che ciascuna
creatura, infinitamente moltiplicata, con perfezione infinita, ami Dio. Vorrei
possedere infinite ricchezze, per donarle tutte, per amor di Dio».
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