Il vescovo di Roma, perché così locale, appare più che mai globale, nel superamento della tensione tra globalizzazione e localizzazione di cui parla al n. 235, per evitare i due estremi: un universalismo astratto da una parte, un museo folkloristico dall’altra. Il rischio maggiore sembra quello di lasciarsi intrappolare nel particolare, fino ad essere «condannati a ripetere sempre le stesse cose, incapaci di lasciarsi interpellare da ciò che è diverso e di apprezzare la bellezza che Dio diffonde fuori dai loro confini». Ed ecco la felice conclusione: «Il tutto è più della parte, ed è anche più della loro semplice somma. Dunque, non si dev’essere troppo ossessionati da questioni limitate e particolari. Bisogna sempre allargare lo sguardo per riconoscere un bene più grande che porterà benefici a tutti noi. Però occorre farlo senza evadere, senza sradicamenti. È necessario affondare le radici nella terra fertile e nella storia del proprio luogo, che è un dono di Dio. Si lavora nel piccolo, con ciò che è vicino, però con una prospettiva più ampia».
venerdì 31 gennaio 2014
Francesco, un papa “glocal” 3/3
Il vescovo di Roma, perché così locale, appare più che mai globale, nel superamento della tensione tra globalizzazione e localizzazione di cui parla al n. 235, per evitare i due estremi: un universalismo astratto da una parte, un museo folkloristico dall’altra. Il rischio maggiore sembra quello di lasciarsi intrappolare nel particolare, fino ad essere «condannati a ripetere sempre le stesse cose, incapaci di lasciarsi interpellare da ciò che è diverso e di apprezzare la bellezza che Dio diffonde fuori dai loro confini». Ed ecco la felice conclusione: «Il tutto è più della parte, ed è anche più della loro semplice somma. Dunque, non si dev’essere troppo ossessionati da questioni limitate e particolari. Bisogna sempre allargare lo sguardo per riconoscere un bene più grande che porterà benefici a tutti noi. Però occorre farlo senza evadere, senza sradicamenti. È necessario affondare le radici nella terra fertile e nella storia del proprio luogo, che è un dono di Dio. Si lavora nel piccolo, con ciò che è vicino, però con una prospettiva più ampia».
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