18 aprile: anniversario della partenza per il Cielo di Igino Giordani.
Nella mia conferenza sull’anzianità, dopo aver iniziato con
la testimonianza di p. Olegario Domínguez, terminerò con quella di Igino
Giordani, del quale è in corso la causa di beatificazione. Noto uomo di
lettere, giornalista, politico, padre di famiglia, focolarino, parlamentare e
membro della Costituente e del Consiglio dei popoli d’Europa a Strasburgo, era
nato a Tivoli il 24 settembre 1894 e concluse il suo viaggio terreno a Rocca di
Papa il 18 aprile 1980.
Giordani era già anziano quando l’ho conosciuto. Ricordo
quando, nella nostra comunità degli Oblati a Vermicino, aprendo la porta me lo
trovavo davanti per una delle sue graditissime improvvisate. Oppure quando
stava seduto su una panchina, nel giardino del Centro Mariapoli a Rocca di
Papa, circondato da ragazzi, giovani, famiglie intere, in un dialogo semplice e
intenso.
Mi sono rimasti impressi soprattutto le brevi visite agli
incontri dei religiosi al Centro Mariapoli. Gli bastava darci un saluto. Spesso
voleva soltanto farci sapere che aveva sempre vissuto in compagnia dei nostri
fondatori e dei nostri santi, che aveva letto i loro scritti e aveva pubblicato
biografie e profili su di loro. A volte ci ricordava tempi nei quali aveva
sofferto per il divorzio tra noi “consacrati” e lui, laico. «Voi, ci diceva con
quell’humor fine che lo caratterizzava, eravate i consacrati e noi laici gli
“sconsacrati”. Ora invece siamo tutti membri della stessa famiglia, tutti
affratellati». Era per lui una grande gioia costatare la profonda unità che il
Movimento dei Focolari aveva creato tra tutte le vocazioni. Naturalmente non si
trovava bene soltanto con noi religiosi. Igino Giordani si trovava bene con
tutti, giovani, famiglie, politici, prelati, cristiani di altre Chiese...
Niente e nessuno gli era estraneo, lui che era stato padre di famiglia,
insegnante, scrittore, giornalista, politico, ecumenista...
L’ho conosciuto dunque che era ormai anziano. Aveva
superato traversie di ogni genere ed era diventato - così appariva ai miei
occhi - semplice e mite, puro di cuore, con sulle labbra quel perenne sorriso
che lasciava intravedere il superamento di tante prove.
Non dovette essere facile giungere a quell’approdo sereno.
Nel suo diario descrive il tempo della vecchiaia, a cui era
giunto, con l’impiego di una metafora, quella dell’albero, che torna spesso nei
suoi ultimi scritti. Leggiamo due di questi brani:
25 maggio 1957 – La più ovvia similitudine che si presenti al mio
spirito nel contemplare quel che ho fatto, è che la mia vita sia come un albero
in autunno, quando perde le foglie e incanutisce. Cadono a una a una le
illusioni: politica, lettere, amicizie, ricchezza, prestigio... Ma è una
valutazione superficiale. Appena si profonda l’occhio un po’ oltre le parvenze,
si trova che questo distacco di valori effimeri è una liberazione. Persino il
non veder considerati i propri lavori religiosi dagli uomini di religione, è
una delicatezza del Padre. Egli vuole l’amore assoluto: l’amore puro,
disinteressato. Egli vuol essere amato per Lui. E anche gli uomini vanno amati
per Lui. Non per noi dunque, non per vantaggi umani, per decorazioni terrene,
per lauri istituzionali. Dio solo.
24 settembre 1963 - Sessantanove anni: mèta a cui sono arrivato
senza accorgermene. Mi ripromettevo da essi tante cose: e i frutti colti sono
altri da quelli che mi ripromettevo. Si vede che io zappavo, potavo, facevo
danni: il divino Agricoltore correggeva e vivificava. E m’ha portato al frutto
della solitudine: ma come silenzio e pausa per conversare con Lui, esser con
Lui. Gli uomini si sono distaccati per i motivi umani: ma a ogni distacco Egli
s’appressava. Ora, siamo Lui e io: il Tutto e il nulla; l’Amore e l’Amato. E il
dialogo non è disturbato dai clangori degli amici, dei clienti... Allora, se
torno tra creature umane, è per amarle, senza presumere d’essere riamato, è per
servirle, senza aspettarmi d’essere servito: neppure dai più vicini per natura
e soprannatura: così vicini e così remoti! Per tal modo quello che pareva un
abbandono di uomini è risultato un ritrovamento di Dio – e in Lui sono gli
angeli e i santi, da Maria all’ultimo defunto in grazia. Pareva un crollo, ed è
stato un elevamento al cielo. Una liberazione, invece che una dispersione.
Il venir meno di affetti e cose, il sopraggiungere di
disagi e solitudine, assieme a tutto il retaggio della vecchiaia, non lo
percepiva come una situazione negativa. Lo sentiva piuttosto come una
“liberazione”, come un provvidenziale distacco dall’effimero. Vi riconosceva il
frutto dell’amore e dell’azione di Dio che taglia il superfluo perché Lui solo
splenda in pienezza come il Tutto della vita e, in Lui, un nuovo universo di
rapporti non più inquinati dalla ricerca di sé o dall’interesse.
Questo è il Giordani che io ho conosciuto: senza più
frascame, in dialogo diretto e costante con quel Dio di cui si poteva scorgere
il riflesso sul suo volto di bambino.
Un aspetto del concreto itinerario verso la santità è stato
proprio il superamento della prova della spoliazione interiore, sperimentata
come solitudine, senso di abbandono di incomprensione, di inutilità.
Con l’avanzare degli anni quest’uomo che era stata per
tanto tempo al centro di un’incredibile intreccio di relazioni, che aveva
vissuto intensamente situazioni politiche e scambi culturali, aveva la
sensazione di essere stato emarginato. Il diario riporta la sofferenza di
questo vuoto attorno, una delle prove più grandi della sua vita. Il modo con
cui affronta e vive questa situazione è garanzia di autentica santità.
Ogni volta che scrive di questo ripetuta prova si sente che
la sua anima si dilata ulteriormente in più ampia comunione con la Chiesa e con
tutto il Cielo. La solitudine fra gli uomini, che gli sembra “espandersi”, gli
si rivela sempre più chiaramente come intervento del “Dio geloso che vuole
l'anima tutta per Sé”.
1 novembre 1963 – Una delle più belle giornate: il male fisico mi ha
costretto a casa, e a casa ho meditato su Maria, e la mia anima s’è colmata di
Lei: dunque di poesia, bellezza, purezza. S’è verginizzata.
Ed è il giorno dei santi: essi dunque culminano e si riassumono in
Maria, “Madre dei santi”.
Stando con Lei, sono stato nel Cenacolo, gremito di loro.
E dunque: non è vero che gli uomini ti abbandonano. È vero che ti
lasciano disponibile per il Signore: ti lasciano solo con Lui. Cresce il
silenzio terrestre attorno e si colma dell’armonia celeste. Non parlano più
pezzi grossi e pezzi piccoli, uomini e donne: e parla con te il Signore, e nel
suo linguaggio ti ritrovi in casa – in un’orbita d’amore – con Maria e Paolo,
con Giuseppe e Agostino, con Caterina e Vincenzo... coi martiri e i dottori, le
vergini e gli eremiti. Il popolo del Paradiso è il tuo popolo.
Un ultimo testo lascia intuire il punto di arrivo del
cammino di santità di Igino Giordani:
12 luglio 1964 - Ora sento che si vola, d’attimo in attimo, verso di
Lui irraggiungibile e pur vicino. Vicino sì che già comincio a essere in Lui.
Prima, l’unione m’era parsa uno stare con Dio: ora, mi appare unità, che è uno
stare in Dio sino a farsi Lui. Si capisce: nelle proporzioni con cui un’anima,
figlia di Dio, può unirsi col Padre. Eppure, anche la goccia d’un Oceano è
oceano: anche un’anima, atomo infinitesimale, se persa in Dio, è Dio per
partecipazione.
E il rapporto si snoda per tutti i gradi dell’economia divina.
Si è uno con Maria, uno con gli angeli e coi santi.
La stessa unità si fa con la Chiesa. Io non son più verso di Lei in
servizio, sì, ma pure in indipendenza e spesso in stato di critica. Ora sono
nella Chiesa: la sua legge è la mia legge, le sue prove le mie prove.
Ora sono in Dio: sono Dio per partecipazione: ed Egli è la libertà,
l’amore, la quiete.
Sostituire Dio all’Io; l’uomo nuovo all’uomo vecchio: questo è: ed è
evidentemente un guadagno abissale.
Le conseguenze logicamente si risentono anche nella convivenza
umana, nei rapporti civili, politici, economici... Per addurre un esempio: mai
come ora sono stato unito a mia moglie, immagine, come mai, della Chiesa; unito
con un rapporto divenuto sacro, nel quale sento che comincia a realizzarsi
l’unione nuziale di Cristo con la Chiesa.
Sempre lì, per la gravitazione divina, si ricade: nell’amore. E
amare è farsi l’altro. L’altro, che nel mondo può essere il differente, il
nemico, cessa, ché di due si fa uno.
Un farsi uno che assorbe la volontà, il sentimento, il pensiero, e
tuttavia non assorbe la persona: difatti instaura un dialogo. Un dialogo che
genera la familiarità.
L’approdo è essere Dio, come una goccia nell’Oceano è
Oceano. Come sempre Giordani avverte la propria piccolezza, “atomo
infinitesimale”, ma ormai totalmente assunta in Dio. Dio si è sostituito
all’io. È l’inizio di una nuova socialità, di un rapporto nuovo, vissuto in
pienezza e purezza, con tutti, da Maria ad ogni membro della Chiesa, fino alla
moglie, nella quotidianità delle relazioni santificate, divinizzate.
La santità di Giordani è come l’aveva sempre sognata,
pienamente umana e laica, inserita nella fibre intime del sociale in ogni sua
forma: Dio fatto carne.