Quando apa Pafnunzio ascoltava o leggeva la Passione del Signore accoglieva in cuore ogni parola, ogni gesto di quel racconto, compreso di quel che accadeva a Gesù e attorno a Gesù. Tutto era prezioso, tutto aveva valore.
Spesso lo colpiva la solitudine di Gesù. Nell’orto degli
ulivi aveva supplicato i tre apostoli più amati e più fidati di non lasciarlo
solo, di stargli vicino, di pregare con lui. Presto tutti lo abbandonano.
Affronta un processo crudele e ingiusto da solo, senza nessuno accanto. Anche
Paolo si lamenta di essere stato lasciato solo durante il processo, gli era
rimasto però almeno Luca. Con Gesù nessuno. Nessuno quando è abbandonato alle
angherie dei soldati. La flagellazione, la coronazione di spine, la
crocifissione… torture crudeli, disumane, dolorosissime. Ma forse il
dolore più grande dovette essere quello di sentirsi abbandonato da tutti e
dover affrontare la passione da solo.
L’agonia era così terribile che Gesù non ce l’avrebbe
fatta da solo. Visto che tutti i discepoli disertavano, il Padre pensò bene di
mandargli un angelo a consolarlo. Apa Pafnunzio restava meravigliato ogni volta
che ci pensava: un angelo a consolare il Figlio di Dio? A questo si era ridotto
Gesù per amore nostro? Aveva bisogno di qualcuno che lo consolasse? Non aveva
già un angelo custode, come uomo avrebbe dovuto averlo. Non gli bastava? Ci
voleva un altro angelo di riserva? Chi era, come si chiamava?
Apa Pafnunzio cercava di immaginarsi la reazione di quell’angelo
quando Dio lo chiamò e gli disse che doveva scendere nell'orto degli ulivi a consolare suo Figlio. “Io a consolare tuo
Figlio?”. Fu preso da sgomento. “Come posso io consolare tuo Figlio?”. Che
missione grande, impossibile, gli era sta affidata. E come dovette compierla
bene se il risultato fu che Gesù si disse finalmente pronto a fare non la sua
volontà ma la volontà del Padre.
“Quando arrivo in Paradiso, si diceva apa Pafnunzio,
chiederò di farmi conoscere quell'angelo…”. E intanto cercava già di farselo amico... non si sa mai...
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