È la prima di tre parole che per un secolo si sono incise
indelebilmente nella mente di più generazioni di cattolici. “Per qual fine Dio
ci ha creati?”, chiedeva la tredicesima domanda del Catechismo nella
dottrina cristiana di Pio X, edito nel 1912. Si rispondeva: “Dio ci ha
creati per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita, e per goderlo poi nell’altra,
in paradiso”. Difficile ricordare tutte le 433 domande e risposte di quel
catechismo, ma questa, assieme alla seconda, “Chi è Dio?”, hanno fatto parte,
nella loro profonda essenzialità, del comune substrato culturale del XX secolo.
Conoscere Dio. Quale pretesa!
Eppure Dio ha creato proprio per farsi conoscere. Si “rivela” nella creazione,
nella storia umana, nella voce dei profeti, fino a quando manda tra noi suo
Figlio, che non a caso viene chiamato il Verbo, la Parola. L’amore desidera
sempre manifestarsi, aprirsi, per invitare alla comunione. Non c’è amore senza
conoscenza. Per amarsi occorre conoscersi e più si ama più si vuole sapere
tutto dell’oggetto amato, siano le galassie, l’atomo, il pensiero filosofico, la
biologia, le culture, la storia, la persona dell’altro… e perché no, Dio.
“Querere Deum”, mettersi
alla ricerca di Dio, è stata l’appassionato desiderio che ha mosso la storia
dell’umanità. Parlare con lui, interrogarlo, ascoltarlo, fino a scoprire il suo
amore infinito, il senso profondo della nostra vita, fino a trovarlo non fuori
di noi, ma in noi, secondo la grande scoperta di Agostino. Si vuole bandire la
conoscenza di Dio dalla scuola, dall’orizzonte culturale, credendolo un
antagonista che priva della libertà, mentre è colui che dona pienezza
all’umanità facendo l’uomo più uomo. Perché non leggere e studiare i Vangeli,
visitare i luoghi di Gesù, ripercorrere la vita di quanto sono stati
affascinati da lui, l’hanno seguito, hanno scritto di lui…? Conoscendo si ama e
amando si affina la capacità di conoscenza e di dedizione (“servirlo”). Un
cammino appassionante, che porta lontano: la promessa è “goderlo in paradiso”.
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