P. Domenico Arena ci ha lasciato a 70 anni, con l'inalterabile sorriso
di un bambino. Per tutti sarà sempre Padre Mimmo!
Un ricordo indelebile
risale al 1975. Di ritorno dalla Sicilia ci fermammo a Rossano, in Calabria, dai
suoi anziani genitori, nella casa semplice e povera. Eravamo una dozzina, c’erano anche
i miei genitori. Si era fatta l’ora della cena e il papà e la mamma di Mimmo diedero
fondo alla loro mensa per fare gli onori di casa, aiutati anche dai vicini, che
portarono altre vivande da condividere. Fu una festa. Fino alla fine della loro
vita essi raccontavano dell’improvvisata fatta dagli amici del figlio,
dell’onore ricevuto, dell’indimenticabile serata passata insieme. Anch’io
rammento la gioia e la gratitudine per quel momento di tanti anni fa.
Ho visto p. Mimmo
quindici giorni fa, un paio di ore prima che l’ambulanza lo portasse all’hospice
per le ultime cure. Mi ha accolto col sorriso di sempre, che neppure il tumore
aggressivo e le chemio dolorose avevano cancellato dal suo volto. Mi sono
inginocchiato accanto al letto e gli ho chiesto la benedizione. Non
riusciva più a parlare. Con solennità mi ha tracciato un grade segno di croce e
mi ha posato a lungo le mani sul capo.
Al funerale p.
Gennaro, il provinciale, ha tracciato il profilo della sua vita: la chiamata,
la formazione, la missione in Senegal e in Congo, gli studi e l’insegnamento
accademico. Ma soprattutto il carattere sempre positivo, il rapporto semplice, diretto,
profondo con le persone, e tutta una vita incentrata sull’unità e sull’impegno per
dilatarla, unitamente all’amore alla croce, segreto della sua gioia. Mi auguro
che le parole di p. Gennaro siano presto accessibili a tutti.
L’ultimo libro di
p. Mimmo (2021) l’abbiamo pubblicato insieme: Perché il mondo creda. Comunione, o
la fecondità della Missione. Gliel’ho suggerito io e l’ho accolto nella
Collana Pastorale dell’Editrice Rogare, in quanto membro del Consiglio di direzione.
Gli ho anche scritto una lunga post-fazione. Non è stata una collaborazione facile
né priva di tensioni, ma anche questo ci ha unito più che mai.
Nel libro sintetizza la lunga esperienza missionaria, più di trentacinque anni. Alla fine scrive: “Nei due paesi in cui ho lavorato come missionario, prima in Senegal e poi nella Repubblica Democratica del Congo, l’unica cosa che mi sembra abbia dato frutti duraturi è in definitiva la comunione. Nonostante le inadeguatezze di ogni tipo, è la comunione, vissuta soprattutto dai confratelli missionari e allo stesso tempo con le Chiese locali con tutte le loro componenti, che semmai ha reso fruttuoso il nostro lavoro. E questo in termini di conversione delle persone al Dio amore; del loro radicamento in Gesù Cristo fino a farne l’unico maestro da seguire; dello sviluppo profondo ed esteso delle comunità cristiane; dell’emergere in esse dello spirito missionario. Questo ci ha permesso di incontrarci con persone di altri Paesi e culture e di offrire loro, secondo le loro necessità materiali e spirituali, la Parola e il Pane di vita che era in mezzo a noi. (…) Possa questo saggio riaccendere in molti credenti la passione missionaria che era in Gesù Cristo e che la chiesa ha ereditato da lui. La vera conclusione di questo saggio e forse per me solo la preghiera, perché la postura di Cristo di fronte all’unità era la preghiera; e la koinonia della Chiesa primitiva è maturata pregando la Parola ricevuta e spezzando il pane. Ma con chi preghiamo se non con Maria che spiritualmente presiedeva con l’autorità di un vero testimone la koinonia della Chiesa primitiva?”.
Tra le sue numerose pubblicazioni la più significativa, è il volume Unità e missione in Eugenio de
Mazenod. Attorno a quest’opera esiste un interessante carteggio con il
Superiore generale, p. Marcello Zago. Riporto soltanto parte di una lettera che
p. Mimmo gli scrisse da Dakar il 2 settembre 1993:
“Mi chiedi come vivo ciò che ho scritto e come mi anima
nella mia missione. Per il momento non sono in grado di risponderti in maniera
esaustiva perché l’esperienza è in corso, tuttavia mi pare che l’intuizione del
nostro padre Fondatore, che propone un tipo di missione da attuare nella e per
l’unità fraterna vissuta in comunità, è diventata la mia più profonda convinzione
nel vivo dell’azione evangelizzatrice nel settore di Koumpentoun. Questo vuol
dire per me dare priorità assoluta a tutto ciò che genera comunione e cioè
vivere il più costantemente possibile nell’amore che è il legame che mi unisce
a Dio, ai fratelli di comunità, agli altri operatori di pastorale e a tutte le
persone che fanno parte della missione. È un qualche cosa che, se è vissuto,
unifica la vita e ti fa essere costantemente cristiano, religioso, sacerdote e
missionario. In più, se ciò è vissuto nella reciprocità, dà vita a un campo
missionario capace di rispondere in maniera adeguata alle sfide della missione
nel Senegal di oggi. Per l’amore reciproco che ci fa uno, diventiamo insieme
Cristo, continuiamo la sua missione e riflettiamo anche il suo modo di fare
missione: una missione che ha la sua sorgente nell’esperienza di comunione
della Trinità e si incarna nell’oggi della storia, assumendone tutte le
problematiche. È così che come corpo missionario siamo in grado di trasmettere
il Vangelo, che salva e affratella, per rivivere come Chiesa l’esperienza Trinitaria.
Vivendo così mi accorgo che la missione può essere di grande efficacia nel contesto in cui siamo. Essa risulta spoglia di tanti elementi inutili e accessori, ma conserva in nuce il DNA capace di trasmettere il Vangelo, sia perché la comunità nostra è un valore evangelico, sia perché lo vive all’interno, e di formare una Chiesa viva in cui si offre, tramite la comunità, una piccola ma significativa esemplificazione. In questo modo si evangelizza privilegiando la testimonianza della vita.
Per questo, per quanto mi riguarda, una missione intesa
in questo modo mi dà un grande senso di pace e di libertà interiore. So che in
ogni cosa, in ogni aspetto della missione (inculturazione, promozione umana,
dialogo…) il mio punto di vista vale tanto quanto corrisponde al disegno di
Dio, ai bisogni profondi degli uomini che mi circondano e alle esigenze della
Chiesa locale e della comunità cristiana che piano piano prende corpo e si responsabilizza
attorno a noi. Ciò, pur non inibendo il dinamismo, la iniziativa personale e la
creatività, può proteggere dall’attivismo e dell’individualismo che, come sai,
costituiscono delle forti tentazioni per noi missionari.
A me sembra pure che in questo modo si lavora attonati con
una Chiesa locale che è in piena crescita e strutturazione e nello stesso tempo
si pongono buone basi per una inculturazione solida che, sono convinto, sarà
frutto di uno sforzo popolare nell’ambito di comunità evangelizzate e
evangelizzante.
Quello che è pure interessante è il fatto che, vivendo la
missione in unità, di tanto in tanto mi vengono delle intuizioni che operano
nel senso di una sintesi missiologica personale che ancora però resta lo stato
embrionale”.
Celebrare il suo funerale il giorno della Trasfigurazione è
in certo modo un segno: una vita vissuta nell’unità che si illumina della luce
del Signore e la irradia attorno.
Grazie Fabio!
RispondiEliminaGrazie Fabio.. di aver messo in comunione ciò che hai colto dell'anima di Mimmo... È luce per il mio vivere. Anche io penso che una unità che scaturisce da una comunione vera,, profonda, divina , è la chiave di volta della missione, di qualsiasi missione.
RispondiEliminaGrazie
Padre Mimmo, un uomo, un missionario, un sacerdote che si è fatto uno con tutti, che ha amato tutti sino a farsi male. La sua eredità di vita consacrata rimane in noi come segno di speranza e luce che illumina la nostra vita. Grazie Padre Mimmo di essere stato presente nella mia vita e aver contribuito a farmi diventare l uomo che sono. Grazie!!
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