Naturalmente anch’io, come tanti in questo periodo, ho letto La peste di Camus. Rispecchia alla
perfezione momenti e sentimenti che abbiamo vissuto e viviamo in questo tempo
di coronavirus. È un’opera corale nella quale l’agnostico Camus riscopre il
valore della solidarietà e della fraternità, uniche vie di riscatto dell’assurdo
umano.
La scena più drammatica e più significativa mi è
parsa la morte del figlio del giudice Othon, attorno al cui letto si ritrovano
i principali protagonisti del romanzo. Siamo davanti allo scandalo della morte
dell’innocente. Sono descritti con cura tutti i sintomi della peste, l’aggravarsi
del male, la trasformazione del bambino in un essere disumano, quasi con
artigli al posto delle mani, con un viso che torna ad essere quell’argilla prima
che soffio di Dio l’umanizzasse.
La
scena richiama esplicitamente la passione di Gesù in croce: “il bambino contrasse le gambe ossute e
le braccia da cui la carne in quarantotto ore si era dissolta e nel letto
devastato prese la posa grottesca di una creatura crocifissa”.
Quello che più mi ha colpito è il suo grido finale: “Nel volto
ormai rappreso in un’argilla grigia la bocca si aprì e ne uscì quasi subito un
lungo grido ininterrotto, appena alterato a tratti dal respiro, che subito
riempì la corsia di una protesta monotona, discordante, e così poco umana che
sembrava venire da tutti gli uomini insieme”.
La sala dell’improvvisato ospedale
si unisce in coro a quel grido, interprete del grido di sofferenza dell’umanità
intera.
Davanti a quella morte i mondi si
dividono: padre Paneloux mormora. “È qualcosa che oltrepassa la nostra misura,
ecco perché ci rivolta. Ma forse dobbiamo amare quel che non possiamo capire”; il
medico Rieux ribatte: “No, padre. Io ho un’altra idea dell’amore. E rifiuterò
fino alla morte di amare questa creazione dove i bambini sono torturati”.
Quel grido rimane al centro del libro. È
lo stesso grido inarticolato, senza parole, di Gesù che muore sulla croce, come
ci è narrato da Matteo e da Marco; un grido che ancora interpella e divide.
Certamente Camus si è ispirato a Gesù.
Ma forse è più vero il contrario: è Gesù
che si è ispirato al bambino e ha vissuto in sé il suo grido, il grido di tutto
l’ospedale di Orano, il grido della fede difficile di Paneloux e della rivolta
di Rieux, il grido di tutta l’umanità.
La solidarietà e la fraternità che La
peste postula sono frutto di quel grido di Gesù in croce, fattosi solidale con ogni grido, fratello con ogni umano.
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