Continuo nella lettura del messaggio del mio amico,
che prende spunto da quanto avevo detto sulla necessità di dare spazio alla
Chiesa domestica e al sacerdozio comune.
Sono interrogativi forti quelli che egli propone e che lasciano aperto il
discorso.
Una
volta passato il momento grave del Covid 19, questi principi sulla Chiesa
domestica e sul sacerdozio dei fedeli devono tornare nei cassetti o nei
documenti polverosi del Concilio Vaticano II?
Il
valore della Chiesa domestica resta un ripiego, un piano B in situazioni di
emergenza ed i laici devono restare pronti a tornare nei ranghi?
I
termini “domestico” e “famiglia” sono stati radicalmente manomessi.
Siamo
pronti a prendere consapevolezza che la famiglia non è scomparsa come si diceva
negli anni delle contestazioni ma, invece, il senso stesso è cambiato?
Siamo
disposti ad accettarlo?
Oggi:
Domus non è più casa
Casa
non vuol dire più dire famiglia.
Famiglia
non è più solo focolare.
Questa
pandemia ha dimenticato le tante solitudini e marginalità che non hanno né il
senso del domestico né della familia.
Non si
tratta più di guardare alle convivenze o alle famiglie che una volta (con un
termine urticante) si dicevano non-regolari: siamo ben oltre.
Si
tratta di guardare a chi è solo in una abitazione; a chi non ha un’abitazione
ma al massimo una stanza; a chi coabita forzatamente; a chi ha più abitazioni
ma nessuna casa; a chi declina il termine famiglia al plurale; alla casa come
al luogo dei conflitti per eccellenza e soprattutto a chi rivendica il nomen
famiglia senza esclusioni o pregiudizi.
Possiamo
invitare tutti questi alla grande rivoluzione della Chiesa domestica?
Al
“banchetto” della Chiesa domestica possiamo invitare coloro che un certo
clericalismo chic considera storpi o di scandalo?
Queste
sono le sfide che il mondo laicale pone oggi.
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