Metà
dell’umanità vive oggi nelle città, sempre più numerose, sempre più grandi,
evoluzione di una storia iniziata più di 5.000 anni fa in Egitto lungo il fiume
Nilo, in Mesopotamia tra il Tigri e l’Eufrate, in Cina lungo il Fiume Giallo,
in India lungo il fiume Indo. Davanti all’attuale urbanizzazione sempre più
massiccia e all’espandersi delle megacities,
la città è oggetto d’interesse, di indagine, di dibattito tra sociologi ed
economisti, urbanisti e architetti, politici e ambientalisti. In essa si gioca
il presente e il futuro dell’umanità.
Il breve
densissimo testo della Lubich si rivela un “manifesto” per una lettura del
fenomeno urbano, senza escludere anche forme più piccole di aggregazione, e di
una fattiva immersione in esso, così da assumerne le problematiche e le
aspirazioni, accompagnando l’umanità alla sua piena realizzazione, fino ad una
fraternità che si apre all’unità tra cielo e terra. Un testo in cui si
concentra in qualche modo l’essenza del suo carisma e che Chiara stessa ha
considerato un vero programma: una Magna
Charta per un rinnovamento della società.
Un testo
“controcorrente”, provocatorio, perché unisce quello che certi indirizzi di
pensiero vorrebbero tenere rigorosamente distinto: il “sacro” e il “profano”,
la religione e la vita sociale. In realtà, non abolisce le distinzioni, supera
piuttosto quella che è diventata una separazione, tracciando linee di sviluppo
di un umanesimo dalle radici profonde, con una visione integrale, ma non integralista,
sulla realtà umana: la dimensione umana non viene annullata ma potenziata, la
realtà sociale può ricevere dalle sorgenti del Vangelo luce, vita, ispirazione.
Gli
ambiti di lettura e di lavoro sono molteplici: teologico-filosofica,
etico-sociale, psicologico-pedagogica, di scienze naturali.
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Da parte polacca i
professori sono 18. Ci sono persone che conosciamo da anni, come il sociologo
Adam Biella. C'è poi la cerchia degli uditori e i traduttori.
Per
noi è un simposio davvero di grande interesse. È difatti un autentico confronto
con una diversa cultura, che ha avuto a che fare con il comunismo reale, con
pensatori del mondo slavo, con sensibilità particolare che sì riverberano su
concetti come libertà, unità. Lo stesso testo sul quale stiamo lavorando
acquista risonanze diversissime e reciprocamente arricchenti.
Sarà
questo l'inizio di un nuovo percorso della Scuola Abbà? Piuttosto che
accogliere tra i suoi membri persone delle più diverse culture, cosa che pure
si dovrà continuare a fare, essa dovrà trovare i modi per dialogare con gruppi
di altre culture, in simposi e convegni analoghi a questo, in altri luoghi. L’esperienza
fatta in India a Natale con gli Indù, con i quali abbiamo letto insieme le
stesse pagine del Paradiso ’49, è già d’insegnamento.
Profondo
l'ascolto e l'interesse comune. Abitualmente professori di questo calibro
partecipano ai convegni solo per dare la propria relazione e poi si dileguano. Questa
volta invece tutti rimangono e fanno proprio la metodologia di lavoro della
Scuola Abbà.
Il
convegno è possibile perché oggi in Polonia si celebra la festa del Corpus
Domini, festa anche civile, consentendo un lungo ponte di quattro giorni.
Domani ci attende un’altra
giornata intensissima di studio e di dialogo.
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