Tutti conosciamo Celso. Abbiamo studiato insieme, poi
lui è diventato un missionario vero, di quelli che convertono villaggi interi. Da
ormai quarant’anni è in Africa: Camerun, Senegal, Guinea Bissau.
L’ho sempre invitato a scrivere le esperienze che mi
raccontava. Ha così pubblicato I racconti di Fonjumetaw. Ma ha ancora tanti
racconti nel cassetto, come questo, scritto 11 anni fa. Lo sintetizzo
brevemente perché mi ha appena mandato una foto di questi giorni che riguarda
quell’esperienza.
Arrivato a Farim,
alla fine del 2003, dedicavo delle mezze giornate a visitare le famiglie
cristiani. Un giorno, visitando un quartiere nella parte nord-est, chiamato
Bangladesh, arrivai in una casa dove abitava un certo Faustino, che conoscevo
perché lavorava nella falegnameria della parrocchia. Guardando i vari quadri
appesi alle pareti, ne notai uno che ritraeva un matrimonio nella nostra chiesa.
“Chi sono questi
due?”.
“Siamo io e mia
moglie. Ci siamo sposati in chiesa 5
anni fa”.
“E tua moglie
dov’è?”.
“E’ andata via,
da tre anni. Mi ha lasciato solo, a badare ai tre bambini”.
“Perché se ne è andata?”.
“Non lo so. Sono
tre anni che soffro per badare ai miei figli”.
“Dove si trova
ora?”.
“A Bissau, ma
non conosco la sua casa. Da quanto mi è stato detto, dovrebbe abitare con
alcuni suoi famigliari, nel quartiere di Santa Lucia”.
Da buon fabulatore Celso continua il suo racconto
ricco di particolari. La sua ricerca di Salé, la moglie di Faustino, giunge a
buon fine. Viene così a sapere che ha lasciato il marito perché dedito all’alcool
e violento…
Le trattative sono lunghe, sia per convincere Salé a
tornare dal marito, sia per convincere Faustino a farsi curare in un centro di disintossicazione.
Dopo i molti
incontri Salé mi disse che sarebbe stata disposta a tornare, a patto che
l’aiutassi a portare a casa tutte le masserizie che aveva accumulato durante il
periodo passato a Bissau.
E così ogni
volta che andavo a Bissau, ne approfittavo per fare un “carico” di materiale
dalla casa di Salé. In verità il materiale non era tutto nella stessa dimora,
ma ne aveva un po’ dappertutto, nei vari quartieri di Bissau. Questo causava
perdite di tempo e lavoro supplementare Ma ormai mi ero messo in gioco e non
volevo tirarmi indietro. Vedendo arrivare il materiale, Faustino non sapeva
come esprimere la sua gioia e la sua riconoscenza. La speranza cominciava a
diventare realtà.
Non ricordo
quanti viaggi ci siano voluti per portare a casa quanto Salé mi chiedeva. Non
facevo naturalmente un viaggio a Bissau solo per questo (Farim dista da Bissau
120 km, e metà della strada non è buona), ma approfittavo quando dovevo andare
per incontri in Curia o per delle spese, per prendere quello che potevo da
parte di Salé.
Arrivò
finalmente l’ultimo viaggio, quello nel quale sarebbe venuta anche Salé. Questa
volta la macchina era più carica del solito. Faustino ne era naturalmente al
corrente, ed era in grande agitazione. Quando arrivammo a Farim, lo incontrammo
al di qua del grande braccio di mare, largo quattrocento metri, che divide
Farim dal resto della Guinea Bissau. Era già notte e quindi non si potevano
vedere le espressioni dei volti, ma sarà stato certamente un momento
particolare!
Caricammo tutto
sulle canoe che fanno trasporto da un lato all’altro. E di là c’erano alcuni
asinelli con le loro carrette. Non sono andato a casa con loro, ma mi
riferirono che tutto il quartiere era in attesa di Salé e che quella sera è
stata una grande festa.
Iniziò così un
vita nuova per Faustino, Salé e famiglia.
Faustino cominciò
la cura, ritornò a casa e non si dette più all’alcool. La famiglia cresceva
così in pace e serenità, anche se a volte qualche piccolo problema faceva
capolino. Ma si superava. La gente di Bangladesh diceva che questo era un
esempio per tutti.
Ci fu un
incontro di famiglie a livello diocesano. Ogni parrocchia doveva mandare una
coppia. Pensammo a Salé e Faustino! Andò molto bene. Anche in parrocchia
avevamo delle celebrazioni di tanto in tanto. Salé era sempre disponibile ad
aiutare. E ci sapeva fare! Ogni volta che c’era qualche programma speciale, si
poteva contare su di lei. Essendo anche una persona istruita, conosceva il
protocollo, sapeva trattare con le autorità, mettere ognuno al suo posto…
Insomma per la parrocchia era un grande aiuto.
Alla fine di
maggio del 2006 andai a casa di Faustino e Salé per un saluto. Salé stava
aspettando un bambino. Mi disse: “Se questo bambino sarà un maschio, lo
chiamerò Celso, altrimenti… Celsa!”.
In giugno noi
Missionari Oblati della Guinea e del Senegal andammo tutti a Dakar per la
nostra riunione di fine anno. Io poi avrei continuato per le vacanze in Italia,
avendo passato già tre anni in missione. Dopo alcuni giorni a Dakar, mentre
stavo al computer collegato a Internet, il segnale di Skype mi diceva che
qualcuno stava chiamando. Era P. Marco, da Bissau. La notizia era terribile: “Salé
è morta! Ha avuto problemi durante il parto. Quando si sono decisi a portarla a
Mansoa, era troppo tardi. E’ morta per strada”.
Dopo il mio
ritorno dall’Italia un giorno si presentò alla missione una donna piuttosto
anziana con una bambina in braccio. La salutai, ma non sapevo chi fosse. Mi
disse:
“Ecco Celsa, io
sono la nonna, e mi occupo di lei”.
Il racconto di Celso molto più ricco di particolari. L’ho
riletto, sintetizzandolo e privandolo di quell’afflato proprio del narratore,
perché Celso ieri mi ha mandato la foto che lo ritrae assieme a Celsa, oggi una
ragazzina di 11 anni.
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