L’invito
è per il 30 giugno, a Mistretta (Un’occhiata su Google maps) per la
presentazione di Lettere dalla missione.
Un missionario in dialogo con la comunità di provenienza.
È un libro per il quale ho scritto la seguente
Presentazione
Una volta c’erano i missionari. Partivano con
bastimenti o a dorso di cammello e dopo decine e decine di giorni di viaggio,
spesso avventuroso, arrivavano in terre lontane, tra popoli dai linguaggi e dai
costumi diversissimi. Avevano lasciato i parenti in lacrime, forse non li
avrebbero più rivisti. Un distacco doloroso da un mondo amato verso luoghi
sconosciuti. Ma partivano con la gioia in cuore, forti del mandato ricevuto da
un vescovo o da un superiore, dietro il quale sentivano risuonare il mandato
stesso di Gesù: “Andate, annunciate
il Vangelo ad ogni creatura...”. Una fede li spingeva: la certezza
della verità del Vangelo che volevano condividere con chi ancora non conosceva
Gesù. Una speranza li sosteneva: rigenerare i popoli e far nascere la comunità
cristiana.
Poi è venuta la decolonizzazione. Nelle nazioni che
raggiungevano l’indipendenza gli stranieri non erano più ben visti, e i
missionari, benché si fossero fatti “tutto a tutti”, assumendo lingua e usanze,
erano considerati come stranieri. Le giovani Chiese iniziavano ad avere i
propri vescovi e i propri sacerdoti, lasciando ai vecchi missionari posti
sempre più remoti e compiti di secondo piano, come a dire: non abbiamo più
bisogno di voi.
È infine emersa una nuova teologia che ha fatto
prendere coscienza ad ogni battezzato della propria vocazione missionaria:
tutti i cristiani sono missionari, ogni chiesa locale è missionaria. Non c’è
più bisogno dei "missionari”.
Eppure i missionari ci sono ancora! Viaggiano sui jet e
bruciano le distanze in poche ore. Grazie ai nuovi media sono collegati in
diretta con il resto del mondo. Dopo tre, cinque anni, tornano a visitare
parenti e amici per raccontare il loro vissuto, per rinsaldare la comunione,
per ritemprare le forze e per ripartire con rinnovato entusiasmo. In una
società globalizzata, che porta in ogni casa le immagini più lontane e che ha
imparato a viaggiare e a scovare i luoghi più reconditi del mondo, i missionari
non hanno più l’esclusiva dell’esotico, non sono più come quelli romanzati di
una volta.
Eppure i missionari ci sono ancora... Non sono una
specie estinta. 1 missionari ci sono perché ancora continuano a risuonare le
parole di Gesù: “Andate in tutto il mondo…”,
e ci saranno sempre perché le parole di Gesù non passeranno mai.
È vero, tutti i cristiani sono missionari, ma alcuni
cristiani ricevono da Gesù una chiamata speciale a dedicare tutta la vita al
Vangelo.
Avvertono una necessità impellente come l’avvertiva
Paolo di Tarso: “Guai a me se non annuncio il
Vangelo”. I missionari diventano così segno di quello che è tutta la
Chiesa, gridano a voce alta, con la loro vita, quello che è il dover essere di
ogni cristiano. Oggi come una volta continuano a lasciare la propria patria per
andare là dove sono chiamati a testimoniare l’amore di Dio per l’umanità.
Ma come sono i missionari di oggi; dove sono; da cosa sono motivati; come
vivono?
Queste pagine sono la testimonianza di uno di loro,
padre Pippo Giordano. Le lettere che per anni ha continuato a scrivere alla
famiglia, e ora raccolte con amore dal cugino padre Michele Giordano, ci fanno
vedere da vicino, dal di dentro, cosa vuol dire oggi essere missionario.
Ho conosciuto padre Pippo quando era ancora studente,
e già allora era irrequieto, impaziente di lanciarsi subito nel campo
apostolico. L’ho poi incontrato in Senegal, in Guinea Bissau, e ho costatato lo
stesso slancio, sempre indomito, senza un attimo di riposo, attento alle minime
necessità della sua gente, pieno di iniziative.
Leggendo queste lettere si sente la passione che lo
anima nel lavoro per quello che ormai è il suo popolo: ci fa entrare entra con
lui nelle case dei villaggi e delle città per incontrare donne e bambini, ci si
siede lui accanto agli anziani sotto gli alberi, si condividono le sue gioie, i
suoi sogni, le sue fatiche. È come se anche noi diventassimo missionari con
lui.
Parla di sé, ma non è un missionario solitario. Ha
accanto i fratelli della sua famiglia, gli Oblati di Maria Immacolata.
All’inizio era tutti italiano, come lui, poi, piano piano, alcuni giovani si
sono sentiti attratti e hanno chiesto di condividere la loro stessa vita. Oggi
in quelle terre sono più i missionari locali che quelli italiani, pronti ad
andare anche in altri Paesi, così come quando padre Pippo ha lasciato l’Italia.
La missione continua e le strade vanno ormai in tutte le direzioni.
Grazie padre Pippo, per avere condiviso con noi la tua
esperienza missionaria così semplice e pure estremamente difficile e
impegnativa, che ha chiesto e continua a chiede il dono totale di sé. Speriamo
che, lasciandosi entrando nel tuo mondo, tu possa accendere anche in noi il tuo
stesso amore per l’annuncio del Vangelo, la condivisione dell’esperienza di
fede, il desiderio di lavorare per la fraternità universale.
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