Di tempo
in tempo lasciava la cella e si inoltrava nel deserto per gustare più a fondo
la solitudine con Dio.
Giungeva
lontano lontano. Si fermava soltanto quando si sentiva perduto tra cielo e
terra.
S’era
seduto, nel silenzio.
Prese una
manciata di sabbia, la portò in alto, la lasciò scivolare lentamente tra le
dita, un filo sottile sottile, fino a quando la mano restò vuota. Nel palmo,
tra le pieghe antiche, era rimasto un granello. Lo mirò, a lungo. Poi gli parlò:
“Sei
soltanto una particella di polvere, una di miriadi e miriadi, meno di niente
nell’universo infinito. Nessuno prima d’ora t’ha mai guardata. Un attimo e di
nuovo scomparirai nella terra tra miriadi e miriadi d’infinitesime particelle
di polvere e nessuno mai più ti guarderà”.
Scosse la
mano. Il granello sparì.
Nella
vasta distesa dell’orizzonte, sulle colline che si ergevano e scendevano
disegnate dai venti, come avrebbe potuto distinguere, ad uno ad uno, i
minuscoli, impalpabili frammenti di sabbia? Ne aveva conosciuto uno soltanto,
l’aveva guardato, gli aveva parlato, l’aveva lasciato sfuggire. Non l’avrebbe
mai più rincontrato. E gli altri? I milioni di milioni? E quelli di altri
deserti?
E lui? Non
era anche lui un pulviscolo, un alito di vento nel volgere dei secoli? Quanti
uomini lo avevano preceduto tra i popoli della terra e quanti si sarebbero
avvicendati nei tempi a venire. Chi s’accorgeva di lui, sperduto nella sua
cella, in uno dei tanti deserti? Sarebbe passato come un soffio. C’era qualcuno
che avrebbe speso il suo tempo a guardarlo? Un attimo sulla palma di una mano,
poi anche lui, anonimo, sarebbe scivolato nella sabbia, un nulla.
Alzò lo
sguardo verso il sole, socchiudendo gli occhi. Quanti erano i suoi raggi? Provò
a contarli. S’accorse che erano numerosi come i granelli di sabbia. Ogni raggio
raggiungeva un granello di sabbia, lo illuminava, lo scaldava. Che abbraccio
largo lo sguardo del sole, pensò. S’estendeva anche al di là dei mari e lambiva
le sabbie e le rocce di altri deserti, baciava i fiori e le erbe sulle rupi inaccessibili,
accarezzava gli aghi dei pini, le foglie di foreste lontane. Non v’era niente
che gli fosse indifferente.
Apa
Pafnunzio ricordò gli idoli nelle nicchie delle case, con gli occhi grandi per
guardare i devoti che si prostravano davanti e che non volevano rimanere
inosservati. Chi sei, se nessuno ti guarda?
Si sentì
abbagliato da un raggio di sole più potente di quello che sfolgorava nel cielo.
Lo penetrava, lo illuminava, lo scaldava. Un raggio tutto per lui, per lui soltanto.
Un altro sole lo avvolgeva, quello stesso che raggiungeva ogni grano di sabbia,
anche quelli al fondo delle dune, anche le radici nascoste delle palme, le
sorgenti profonde dei fiumi, gli antri segreti nelle viscere della terra, dove
sguardo umano non giungeva.
Niente
restava nascosto al suo Dio dagli occhi grandi, niente indifferente. Conosceva
l’atomo nascosto in ogni frammento di roccia, il battito silenzioso del volo d’una
farfalla, il crescere lento d’una foglia. A loro parlava come egli aveva parlato al granello di sabbia. Conosceva anche apa Pafnunzio, lo guardava, camminava e sedeva con lui. Anche a lui parlava.
Molto, molto bella! E' una esperienza personale? Puoi continuare?
RispondiEliminaMi fai ricordare la mia prima volta di fronte al Grand Canyon del Colorado; abito non lontano.
Di fronte ai 3.000 miliardi di anni del Grand Canyon mi venne spontaneo pensare o meglio detto contemplare: cos'e la mia vita?: un microsecondo , o anche meno, nel grande schermo dell'universo; eppure
questo micro-secondo e' parte "viva" di un continuum che " fa senso"...che va verso il "punto Omega", direbbe Teilhard de Chardin.
Ed anche te, Io, lei, lui , la piccolo farfalla che menzioni, fanno parte di questo delicato tessuto "vivo" che si estende nello spazio e nel tempo. Grazie
Miguel Novak, Colorado, USA