Ho preparato la conferenza che dovrò tenere sabato
pomeriggio in occasione della inaugurazione della Cattedra di Studi Oblati.
Ho indicizzato il testo più importante della
letteratura oblata, la Prefazione alle
Costituzioni e Regole che sant’Eugenio scrisse, come ultima stesura, nel 1825, e
che presto divenne la Magna charta
degli Oblati.
La prima parola che ricorre con maggiore frequenza
è Gesù Cristo (vi affluiscono anche altri termini come Cristo, Salvatore,
Figlio di Dio). Appare evidente la centralità cristologica della spiritualità
di sant’Eugenio. Seguono altri termini con buon frequenta: Chiesa, cristiani,
popoli, persone, anime… Anche questi sono particolarmente significativi, perché
danno l’idea di come sant’Eugenio volesse i suoi Oblati proiettano fuori, nella
missione. Tutto parte da Cristo e tutto è a servizio della missione.
Fra i due termini ecco la parola santità (nella
quale ho fatto convergere termini come santo, santi, santificazione). È al
secondo posto come ricorrenza dopo la parola Gesù Cristo. Anche questo dato è meritevole
di attenzione, perché indica la modalità e la finalità della missione: fatta da
persone che tendono alla santità, che si santificano nella missione e che
lavorare per diffondere la santità di Cristo. I lemmi santo, santificazione,
santità, appaiono tipici della scrittura demazonediana.
Dopo aver costatato lo stato deplorevole della
Chiesa del suo tempo, Eugenio si domandava cosa aveva fatto Gesù quando volle
convertire il mondo. Quindi si chiedeva:
“Cosa dobbiamo fare noi?” La risposta è duplice:.
Prima di tutto i missionari “Devono lavorare seriamente a diventare santi;
percorrere coraggiosamente le stesse strade di tanti operai del Vangelo”: santi
con i santi!
Quindi devono dedicarsi anima e corpo alla
missione fino a “rendere gli uomini prima ragionevoli, poi cristiani e infine
aiutarli a diventare santi”.
La motivazione che spingeva i giovani sacerdoti a entrare tra i Missionari
di Provenza era “lavorare più efficacemente alla salvezza delle anime e alla
propria santificazione”.
La santità è dunque un aspetto centrare nel progetto di
sant’Eugenio. Per essere più esatti
dovremmo ricordare che egli usa poco il termine astratto “santità”, preferisce
quello più concreto di “santi” e quello più dinamico di “santificazione”.
Come ho già scritto questi giorni sul blog, una
delle novità del Concilio Vaticano II è stato l’appello all’universale vocazione
alla santità (LG 5). Eppure questo capitolo della Lumen gentium è abbastanza disatteso dalla riflessione teologica
successiva e forse anche dalla prassi pastorale.
Forse anche tra noi Oblati l’ideale della santità
è un po’ impallidito.
Almeno la parola “santità” non è tanto presente
nella nostra letteratura come lo era nella Prefazione
di sant’Eugenio.
L’idea della santità non è certamente limitata all’impiego
dalla sua parola. Può benissimo essere articolata in
molti altri modi, e di fatto è così nella nostra letteratura. Tuttavia le parole hanno la loro importanza, sono
la casa delle idee e spesso la dimenticanza di una parola può indurre a
dimenticare l’idea in essa racchiusa.
Forse vale pena tornare a parlare di santità…
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