giovedì 19 gennaio 2017

Le parole casa delle idee: santità

Ho preparato la conferenza che dovrò tenere sabato pomeriggio in occasione della inaugurazione della Cattedra di Studi Oblati.

Ho indicizzato il testo più importante della letteratura oblata, la Prefazione alle Costituzioni e Regole che sant’Eugenio scrisse, come ultima stesura, nel 1825, e che presto divenne la Magna charta degli Oblati.
La prima parola che ricorre con maggiore frequenza è Gesù Cristo (vi affluiscono anche altri termini come Cristo, Salvatore, Figlio di Dio). Appare evidente la centralità cristologica della spiritualità di sant’Eugenio. Seguono altri termini con buon frequenta: Chiesa, cristiani, popoli, persone, anime… Anche questi sono particolarmente significativi, perché danno l’idea di come sant’Eugenio volesse i suoi Oblati proiettano fuori, nella missione. Tutto parte da Cristo e tutto è a servizio della missione.
Fra i due termini ecco la parola santità (nella quale ho fatto convergere termini come santo, santi, santificazione). È al secondo posto come ricorrenza dopo la parola Gesù Cristo. Anche questo dato è meritevole di attenzione, perché indica la modalità e la finalità della missione: fatta da persone che tendono alla santità, che si santificano nella missione e che lavorare per diffondere la santità di Cristo. I lemmi santo, santificazione, santità, appaiono tipici della scrittura demazonediana.

Dopo aver costatato lo stato deplorevole della Chiesa del suo tempo, Eugenio si domandava cosa aveva fatto Gesù quando volle convertire il mondo. Quindi si chiedeva: “Cosa dobbiamo fare noi?” La risposta è duplice:.
Prima di tutto i missionari “Devono lavorare seriamente a diventare santi; percorrere coraggiosamente le stesse strade di tanti operai del Vangelo”: santi con i santi!
Quindi devono dedicarsi anima e corpo alla missione fino a “rendere gli uomini prima ragionevoli, poi cristiani e infine aiutarli a diventare santi”.
La motivazione che spingeva i giovani sacerdoti a entrare tra i Missionari di Provenza era “lavorare più efficacemente alla salvezza delle anime e alla propria santificazione”.
La santità è dunque un aspetto centrare nel progetto di sant’Eugenio. Per essere più esatti dovremmo ricordare che egli usa poco il termine astratto “santità”, preferisce quello più concreto di “santi” e quello più dinamico di “santificazione”.


Come ho già scritto questi giorni sul blog, una delle novità del Concilio Vaticano II è stato l’appello all’universale vocazione alla santità (LG 5). Eppure questo capitolo della Lumen gentium è abbastanza disatteso dalla riflessione teologica successiva e forse anche dalla prassi pastorale.
Forse anche tra noi Oblati l’ideale della santità è un po’ impallidito.
Almeno la parola “santità” non è tanto presente nella nostra letteratura come lo era nella Prefazione di sant’Eugenio.
L’idea della santità non è certamente limitata all’impiego dalla sua parola. Può benissimo essere articolata in molti altri modi, e di fatto è così nella nostra letteratura. Tuttavia le parole hanno la loro importanza, sono la casa delle idee e spesso la dimenticanza di una parola può indurre a dimenticare l’idea in essa racchiusa.
Forse vale pena tornare a parlare di santità…


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