«L’unità
non si fa perché ci mettiamo d’accordo tra noi, ma perché camminiamo seguendo
Gesù. E camminando, per opera di Colui che seguiamo, possiamo scoprirci uniti.
È il camminare dietro Gesù che unisce. Convertirsi significa lasciare che il
Signore viva e operi in noi… l’unità non la creiamo noi. Ci accorgiamo che è lo
Spirito che spinge e ci porta avanti. Se tu sei docile allo Spirito, sarà Lui a
dirti il passo che puoi fare, il resto lo fa Lui. Non si può andare dietro a
Cristo se non ti porta, se non ti spinge lo Spirito con la sua forza. Per
questo è lo Spirito l’artefice dell’unità tra i cristiani.
Ecco
perché dico che l’unità si fa in cammino, perché l’unità è una grazia che si
deve chiedere, e anche perché ripeto che ogni proselitismo tra cristiani è
peccaminoso. La Chiesa non cresce mai per proselitismo ma «per attrazione»,
come ha scritto Benedetto XVI. Il proselitismo tra cristiani quindi è in se
stesso un peccato grave. La Chiesa non è una squadra di calcio che cerca tifosi».
È da due
mesi che ho sul comodino il numero dell’Avvenire con l’intervista a Papa
Francesco. Finalmente ho trovato il tempo per leggerla. Mi è piaciuto
tantissimo per la schiettezza, la semplicità, la profondità con cui affronta le
tematiche. Mi hanno colpito in particolare queste parole sul dialogo ecumenico,
forse perché venendo dall’India mi pare abbiano un’assonanza con il dialogo
interreligioso. So bene che siamo su piani molto diversi, ma la dinamica di
fondo è la stessa.
Le
persone di altre religioni non sanno che stanno camminando verso Cristo, ma noi
lo sappiamo e sappiamo che a spingerli verso di lui è lo stesso Spirito che
opera in noi.
Anche nel
rapporto con loro non saremo noi a creare l’unità.
Anche nei
loro confronti nessun proselitismo ma “attrazione”. I peggiori terroristi, diceva
un amico indù, sono i missionari che fanno stragi di fedi e culture. Aveva
davanti pagine di storia dell’imperialismo britannico.
«Personalmente
– scriveva padre Marcello Zago – non cerco mai di parlare di me stesso, della mia
religione o di fare dei paragoni con la nostra fede e la nostra pratica: non
prendo l'iniziativa a questo riguardo, ma resto aperto. Spesso, dopo un dialogo
lungo e soprattutto profondo, è l'interlocutore buddhista che mi pone delle
domande sulla mia fede, la mia vita, le mie motivazioni. In questo rispondo
semplicemente, cercando di adattare la formulazione: non argomentazione ma piuttosto
testimonianza di ciò che è il Cristo per me, qual è il senso della mia vita/
ciò che è la religione per me e ciò che dovrebbe essere per tutti. Non ho mai
parlato tanto del Cristo da quando mi sono dato al dialogo. Questa esperienza è
comune a tutti coloro che hanno intrapreso un vero dialogo esperienziale o
dottrinale o collaborativo o esistenziale».
Sì, è
anche la mia piccola esperienza.
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