giovedì 26 gennaio 2017

100 anni di M’illumino d’immenso


Oggi, 100 anni fa, Giuseppe Ungaretti scrisse la più celebre e più bella poesia del Novecento:

Mattina
M’illumino
d’immenso

È la poesia che, nelle mie lezioni all’università, ho preso a esempio per illustrare i canoni ermeneutici per l’interpretazione di un testo.
Mi piace collocarla nel suo contesto, sul fronte del Carso durante la Prima Guerra Mondiale. Rivedo i soldati ammassati nelle trincee, affamati, impauriti, intirizziti nel freddo dell’inverno, con negli occhi i “soldati-fratelli”, che stanno “come d’autunno sugli alberi le foglie”; i compagni falciati dalle mitragliatrici, dilaniati dalle granate, squartati dalle baionette, nella follia pura della guerra.
Ed ecco il sopraggiunge della mattina, con il balenare della luce in cielo e sul mare lontano, all’orizzonte: liberazione, rivelazione, rinascita, vita nuova.
Il piccolo soldato – ogni essere sulla terra –, perduto nel fango, si ritrova immerso nell’infinito, il frammento opaco s’illumina di luce.
Leopardi sperimentava: “e il naufragar m’è dolce in questo mare”; s’immergeva nell’infinito, fino a perdersi in esso.
Ungaretti, in esperienza antitetica, è invece penetrato e avvolto dall’infinito che si immerge in lui: non una conquista, un dono.
È l’esperienza che tutti possiamo fare, ogni mattina.


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