Mattina
M’illumino
d’immenso
È la poesia che, nelle
mie lezioni all’università, ho preso a esempio per illustrare i canoni
ermeneutici per l’interpretazione di un testo.
Mi piace collocarla nel
suo contesto, sul fronte del Carso durante la Prima Guerra Mondiale. Rivedo i soldati ammassati nelle
trincee, affamati, impauriti, intirizziti nel freddo dell’inverno, con negli
occhi i “soldati-fratelli”, che stanno “come d’autunno sugli alberi le foglie”;
i compagni falciati dalle mitragliatrici, dilaniati dalle granate, squartati dalle
baionette, nella follia pura della guerra.
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Il piccolo soldato – ogni
essere sulla terra –, perduto nel fango, si ritrova immerso nell’infinito, il
frammento opaco s’illumina di luce.
Leopardi sperimentava: “e
il naufragar m’è dolce in questo mare”; s’immergeva nell’infinito, fino a perdersi
in esso.
Ungaretti, in esperienza antitetica,
è invece penetrato e avvolto dall’infinito che si immerge in lui: non una
conquista, un dono.
È l’esperienza che tutti possiamo
fare, ogni mattina.
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