Oggi è l’anniversario della consacrazione
della cappella degli Oblati nel cimitero del Campo Verano a Roma. Sono 64 gli
Oblati ivi sepolti, alcuni famosi, come mons. Allard, iniziatore della missione in
Sud Africa, padre Baffie, che ha scritto un bellissimo libro su sant’Eugenio,
il vescovo Dontenwill, superiore generale negli anni Venti, padre Anselmo
Trèves, un santo particolarmente amante della Madonna, sulla quale ha scritto
tantissimo, i Padre Dindinger, Perbal e Seumois, grandi professori di
missiologia all’Urbaniana, italiani come Gaetano Drago, Carlo Irbicella, Luigi
Rossetti, Angelo Mitri… Altri di cui si ricorda appena il nome, a cominciare dal
primo che vi fu sepolto nel 1868, certo Fratel Francesco Gandolfi, nato in Corsica
nel 1855. L’ultimo è padre Le Page, che ci ha lasciato due anni fa.
Come da tradizione anche quest’anno siamo
stati a celebrare la messa sulla loro tomba.
Vedendo i nomi di tanti che ho conosciuto
di persona o di fama, e di altri che non ho conosciuto e che non so neppure chi
siano, ho ricordato una lettera di sant’Eugenio a p. Joseph-Alexandre Ciamin, gravemente
ammalato, con la quale lo invitava ad accettare con fiducia la volontà di Dio e
ad essere pronto a morire nella Congregazione:
Spero che possiate riavere la salute, quantunque i
medici, a quanto mi dite, hanno decretato altrimenti; ma se fosse un disegno
della divina Provvidenza abbreviare il corso del vostro esilio terreno per
farvi godere più presto il beato possesso di Dio (…), allora, se il Signore
volesse chiamarvi a lui, non sarebbe forse un segno di predestinazione morire
in seno alla Congregazione? Non sapremmo mai ringraziare abbastanza il Signore
di averci concesso, a preferenza di altri, una tale grazia. E noi siamo stati
costantemente testimoni di questa meraviglia dacché esiste la Congregazione,
perché tutti quelli che sono morti sono morti da predestinati. Dio, tanto buono,
ha voluto far sentir loro questo privilegio coi sentimenti che istillava nelle
loro anime. Tutti, senza eccezioni, confessavano di non aver parole per
esprimere la gioia che provavano nel morire da figli della Congregazione in cui
la misericordia di Dio li aveva chiamati. (…)
Perciò, caro p. Ciamin, qualunque cosa possa succedere,
vivrete e morrete figlio di Maria nella Congregazione nella quale avete fatto
la vostra professione in aeternum. (9 aprile 1853).
Nessun commento:
Posta un commento