È appena
apparsa in libreria, una nuova edizione del mio libro Il sogno e la
realtà, Beato Mario Borzaga martire,
Ancora, Milano 2016, 178 p.
Ho
potuto così raccontare i particolari del martirio del padre Mario Borzaga beato,
assieme al catechista Paul Thoj Xyooj, che quando scrissi nel 2000 ancora non
si conoscevano:
Padre Mario e il suo catechista, dopo
essere partiti quel 25 aprile 1960 da Kiukatian verso Pha Xoua, sono spariti
nel nulla. Proprio da allora, lentamente, padre Mario si fa sempre più presente
nel ricordo dei suoi amici. È un crescendo di interesse per questo giovane
missionario, considerato un martire. Sei anni dopo la scomparsa, p. Gaetano
Drago pubblica un volume che raccoglie 99 lettere indirizzate alla sorella: Un eroe del Laos. Nel 1985 appare il suo diario, Diario di un uomo felice, che riscuote
uno straordinario successo e lo fa conoscere bel al di là della sua Trento e
della famiglia dei Missionari Oblati. La sua esperienza esercita una forte
attrattiva su tanti giovani, è conosciuta nei seminari, nei monasteri di
clausura. Così il 5 novembre 1997 il Consiglio generale degli Oblati decide di
iniziare l’itinerario per il riconoscimento della sua santità, assieme a quelle
di altri 5 missionari Oblati martiri nel Laos. Nel 2004 il Superiore generale
comunica ai vescovi del Laos che gli Oblati italiani e francesi si rendono
responsabili della Causa dei “Martiri del Laos”, lasciando tuttavia che l’itinerario
verso la beatificazione di padre Mario proceda separatamente rispetto a quello
degli altri martiri. Nello stesso tempo alla figura di padre Mario di associa
quella del catechista Paul Thoj Xyooj (leggi Siong), un fatto che, dopo 45 anni
di silenzio, permette in maniera insperata di alzare un velo sul mistero del martirio
dei due.
Il giovane catechista, di origine hmong,
era poco noto, anche se nel diario di padre Mario il suo nome torna più volte.
Quando scomparve nella foresta aveva 19 anni. Nel 1957, a 16 anni, era entrato
nel seminario di Paksane che presto lasciò per motivi di salute. Tornato nel
suo villaggio natale di Kiukatian, si pose a servizio dei missionari come catechista
zelante e disponibile, insegnando il cristianesimo. Grazie a lui furono ottenute
molte conversioni. Gli ultimi tre mesi era
accanto a padre Mario a Kiukatian.
Quasi sconosciuto agli italiani, il
catechista era invece rimasto nel cuore della sua gente. P. Angelo Pelis, già
missionario nel Laos e poi incaricato di raccogliere la documentazione per la
causa di beatificazione, identifica una sua foto, permettendo così di dare un
volto a Paul Thoj Xyooj, un bel giovane sorridente. La diffonde tra i Hmong che
in questi anni hanno lasciato il Paese e si sono stabiliti in Tailandia,
Francia, Stati Uniti… A tutti fa sapere la volontà di lavorare perché venga
riconosciuta la santità di questo figlio della loro terrà. “Uno di noi santo?”.
L’interesse si fa fortissimo e finalmente, chi sa comincia a parlare.
Un giovane quindicenne, che si trovava in
foresta a caccia, racconta di essere stato richiamato da alcune grida. Nascosto
tra la boscaglia, riconosce padre Mario e Xyooj con le mani legate dietro la
schiena. «Spinti dai soldati, salivano per il sentiero e dove questo si biforca
si sono fermati. I soldati hanno tolto la camicia ai prigionieri e li hanno
costretti a inginocchiarsi. Li hanno colpiti con il calcio del fucile gridando
contro di loro. Il padre parlava in una lingua sconosciuta poi è rimasto in silenzio,
coperto di sangue. Invece Xyooj, che parlava e rispondeva, è stato colpito più
e più volte con il calcio del fucile, sulla testa, le orecchie, tutto il corpo,
al punto da sanguinare da ogni parte…
Uno dei soldati ha gridato a Xyooj: “Vai
subito via”, ma egli ha risposto: “No, non vado, resto con il Padre. Se io
parto, lui viene con me, se lui non parte, io resto con lui.
Un altro gli ha gridato: “Dato che non
vuol partire, uccidiamolo assieme all’altro”.
Un’altra persona gli ha gridato: “Tu sei
responsabile di aver portato questo diavolo e di aver convinto in un giorno più
di 10 famiglie a seguirlo”».
Il testimone sente Xyooj pregare in Hmong:
“O Dio, proteggi noi e proteggi il nostro destino; tu li vedi e tu vedi quello
che stanno per fare”.
Qualcuno dei soldati proponeva di
ucciderli sul posto e di gettarli nel fosso accanto, altri pensavano che fosse
un luogo troppo esposto. Li hanno quindi obbligati ad alzarsi e tenendoli per
le braccia li hanno spinti più lontano, verso un luogo più nascosto. Il
testimone li ha così perduti di vista. Anni più tardi, in Francia, ha
riconosciuto uno di questi soldati…
Un altro soldato è stato sentito
raccontare alcune delle sue bravate, tra cui l’uccisione di una “spia
americana” accompagnata da un Hmong. «Li abbiamo costretti a scavare una fossa…
Io ho sparato loro. Il Hmong morì sul colpo, ma l’americano, caduto nella fossa,
cominciò a gridare: “Perché avete sparato a un padre?”. Senza aspettare li
abbiamo ricoperti di terra».
Una dopo l’altra, varie testimonianza
tracciano il profilo del catechista: «Sono convinto che Xyooj è morto a causa
della sua fede – racconta un giovane di allora –. Insegnava la fede senza altri
fini. Era puro. Ha dato la vita per l’ideale che viveva. La zona dove sono
scomparsi era molto pericolosa, lo sapevano con certezza, ma vi sono andati
ugualmente per compiere la loro missione…. Xyooj ha attuato in tutto il vangelo
che insegnava. Il suo sangue e quello di padre Mario è stato versato è per
Dio».
I nipoti di Xyooj hanno riferito quello
che raccontava loro il padre, fratello maggiore del catechista: «Nostro padre ci
diceva che da quando il Missionario era venuto ad annunziare il Vangelo al
villaggio, suo fratello minore, Xyooj, si era innamorato del Vangelo. Lo zio Xyooj
amava grandemente la religione e per questo andava con il Padre ad annunziarla
e ad insegnarla ad un villaggio all’altro, ovunque il Padre andava… Nostro padre
ci ripeteva che lo zio amava veramente la religione e amava andare sempre ad
aiutare il Missionario nei suoi giri apostolici. Questo è il solo motivo per il
quale i comunisti l’hanno preso e fatto sparire».
Altri ancora testimoniano la stessa
passione per la fede del catechista, e la consapevolezza della possibilità di martirio:
«Xyooj parlava sovente della morte per causa della dottrina del Cielo. Diceva
che, per le sofferenze che subiremo – perché ci perseguiteranno a causa della
nostra fede –, il giorno in cui il Signore ci chiamerà andremo in Cielo».
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