Remollon |
17 gennaio 1819. A Remollon, nelle
Bassi Alpi francesi, Eugenio de Mazenod, con altri dei suoi, predica la
missione popolare. La gente è incantata. Rimane impressa in ognuno l’immagine di
quel missionario pieno di fuoco che, come l’apostolo Paolo, annuncia Cristo e Cristo
Crocifisso, tenendo in mano la croce. Un artigiano del luogo immortale quell’immagine
sbalzandola su un medaglione di alabastro. “È proprio padre de Mazenod come l’ho
conosciuto nella mia giovinezza – scriverà cinquant’anni più tardi il vescovo
Jeancard – proprio come lo ricordo quando predicava le missioni. È il ritratto
più somigliante prima che diventasse vescovo”.
Perché annunciare Cristo Crocifisso?
Perché mostrare la sua croce? Perché è
il segno dell’amore infinito di Cristo, che ha salvato il mondo non quando
faceva i miracoli, non quando narrava alle folle le sue parabole, ma quando
diede la vita, là sulla croce. “Il
Calvario – scriveva sant’Eugenio ancora da giovane – è il luogo dove il nostro divin Salvatore
porta a compimento l’opera di Redenzione degli uomini". E nella Regola del 1826:
“Predicare, come l’Apostolo, Gesù Cristo, e Gesù Cristo crocifisso… non col
prestigio della parola ma con la manifestazione dello spirito, mostrando cioè
che abbiamo meditato nel nostro cuore le parole che annunciamo e che abbiamo
cominciato a metterle in pratica prima
di accingerci ad insegnare”.
La croce di Gesù è al centro della nostra missione.
La croce di Gesù è al centro della nostra missione.
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