Il racconto di Tolstòj rappresentato
nel più bel teatro del mondo: la chiesa del Gesù a Roma. Entri in questo
edificio straordinario e rimani abbacinato dall’architettura, dalla policromia dei
marmi, dalle scenografie pittoriche da capogiro… Basta stare lì ed è già lo
spettacolo.
Se poi si recita Tolstòj è uno
spettacolo nello spettacolo. Se poi ad essere rappresentato è La morte di Ivan Il'ič, l’effetto è
assicurato. E se alla fine appare il cardinal Ravasi e con la sua cultura fine dona
con semplicità il suo commento al testo la serata è fatta!
Così è stato ieri.
Mi sono rimasti soprattutto due
momenti: il grido di Ivan Il'ič che davanti al dolore grida il suo perché, che
riecheggia i perché di ogni creatura davanti a ogni dolore: «Piangeva per la
propria impotenza, per la propria terribile solitudine, per la crudeltà degli
uomini, per la crudeltà di Dio, per l'assenza di Dio. "Perché hai fatto
tutto questo? Perché mi hai condotto qui? Per qual motivo, perché mi torturi
così orrendamente?..."». Cosa sarebbe di questo grido dell’umanità se non
l’avesse fatto proprio lo stesso Figlio di Dio?
E finalmente l’incontro con la
morte, quasi risposta a quel grido: «“E la morte? Dov'è?”. Cercò la sua
solita paura della morte e non la trovò. “Dov'è? Ma che morte?” Non c'era più
paura perché non c'era più morte. Invece della morte, la luce. “Dunque
è così!” disse d'un tratto ad alta voce. “Che gioia!”… “Finita la morte,
– si disse. – Non c'è più, la morte”».
La morte come incontro con la luce.
La luce di bellezza che splende nella chiesa “del Gesù”, mi è sembrata una
parabola della grande luce vista da Ivan Il'ič, quella del Gesù vero.
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