Era l'undici febbraio del 2013
quando papa Ratzinger sorprese tutto il mondo annunciando di voler rinunciare
al ministero petrino. Un gesto coraggioso che ha aperto la strada a
Francesco.
“È un grande!” Fu la prima parola – un grido, per la verità – che mi è
uscita dalla bocca alla notizia delle dimissioni di Benedetto XVI. L’avevo
incontrato personalmente una settimana prima dello storico annuncio. Avevo
avuto con lui un breve intenso colloquio nel quale potei cogliere l’inestimabile
profondità d’animo, la lucidità del pensiero che lo ha sempre caratterizzato, e
insieme l’estrema fragilità fisica: piuttosto che sorreggere la pesante casula
che gli avevano messo addosso, pareva fosse questa a tenerlo in piedi. Perché
non può dimettersi? mi chiesi tornando a casa. Lo ha fatto. Ed ha mostrato un
coraggio ed una fede di una grandezza diametralmente opposta alla dichiarata mancanza
di “vigore sia del corpo, sia dell’anima”, che gli faceva riconoscere
“l’incapacità di amministrare bene il ministero” affidatogli, come lui stesso
dichiarava.
Perché non è rimasto sulla breccia fino all’ultimo come ha fatto
Giovanni Paolo II?, si è sentito ripetere da più parti. Il papa polacco era
animato da una spiritualità del sacrificio e del martirio, tipica della cultura
slava, il papa tedesco da una spiritualità del servizio, che invita a ritirarsi
quando si percepisce che il servizio non è più tale perché non si hanno più le
capacità per adempierlo. Ambedue legittime, ambedue evangeliche. All’inizio del
pontificato Benedetto XVI si era presentato come “semplice e umile servo nella
vigna del Signore”. Non era retorica. Dopo aver lavorato nella vigna del
Signore, avvertiva che era giunto il momento di lasciare il posto ad altri,
come un “servo che ha compiuto la sua missione”, mostrando che il “potere” è
tale nella misura in cui è realmente a servizio del popolo.
Se si fosse ritirato per amore del quieto vivere, sarebbe stata una
fuga. E chi non ne è tentato davanti a responsabilità che diventano troppo pesanti?
“Pregate per me - aveva chiesto lui stesso nella messa di inizio pontificato -,
perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi”. Non l’ha fatto per sé, ma per
il bene della Chiesa, prendendo la decisione “davanti a Dio”.
Forse nessuno come lui, dallo strategico posto di osservazione della Congregazione
della Dottrina della fede prima e del papato poi, aveva la consapevolezza della
profonde riforme che si impongono alla Chiesa di oggi, soprattutto nel governo
centrale. Durante la Via crucis al
Colosseo del 2005 non aveva avuto remore nel dichiarare che spesso la Chiesa
“ci sembra una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le
parti”, la cui veste e il cui volto “così sporchi, ci sgomentano”. Gli ultimi
tre anni del suo pontificato sono stati caratterizzati dall’esplodere di gravi
scandali all’interno della sua stessa casa, della Curia, dello Ior, da pesanti
attacchi mediatici contro la sua persona, segnali fin troppo evidenti che
postulavano una profonda e coraggiosa riforma. Era necessario un forte atto di governo e papa
Benedetto l’ha posto, il più audace, il più rivoluzionario, il più fecondo di
conseguenze: le dimissioni.
Fuga sarebbe stato tergiversare, lasciare che le cose andassero avanti
comunque, accettare che altri, surrettiziamente, prendessero in mano il potere.
Ma Ratzinger è un puro e non avrebbe potuto cedere al compromesso. Il suo è
stato un gesto coraggioso e profetico che ha destabilizzato una situazione di
stallo e aperto la strada a un futuro nuovo, quello di papa Francesco.
La sua decisione ha inoltre demitizzato e desacralizzato la figura del
pontefice, mostrandone la fragilità, la vulnerabilità, in una parola,
l’umanità, rendendola così più vicina a quella di Gesù e delle persone di oggi.
Papa Francesco non avrebbe potuto inaugurare quello stile così familiare e
semplice che lo caratterizza e che risponde così profondamente alle attese,
senza il gesto di papa Benedetto che, paradossalmente, ha infinitamente
esaltato la dignità del papa, la sua autorevolezza, la sua credibilità. Ne è
prova l’inversione di atteggiamento da parte dell’opinione pubblica, che ora
ripone nella sua figura fiducia e speranza. Basta guardare alle reazioni di
fronte alle accuse mosse in questi giorni dall’ONU alla Santa Sede. Solo un
anno fa avrebbero raccolto un consenso unanime, ora sono considerate con un
certo scetticismo e indifferenza, perché se ne riconosce la parzialità.
“Se fosse stato eletto solo per fare questo passo, sarebbe
valsa la pena!”, mi scrisse all’indomani della rinuncia un ignoto follower del
mio blog. Altri messaggi, di persone altrettanto sconosciute, indirizzatemi
subito dopo quello scioccante annuncio, possono dare il polso, meglio di ogni
altra considerazione, di come un anno fa venne accolto il gesto del papa: “L'annuncio
il papa che lascia il ministero petrino, mi ha suscitato uno sbrigativo: allora
possiamo anche mollare! Ma lui non l'ha fatto come atto liberatorio, ma come
atto di un amore grande. Dopo aver compiuto tutto ciò che sentiva di poter compiere,
si è messo davanti a Dio e ha ascoltato quanto lo Spirito gli chiedeva in
questo momento. Lo ringrazio del suo esempio che ancora una volta ci mette in
prima persona davanti a Lui, senza timore”; “Questo atto di Benedetto XVI mi ha
lasciato molto ammirata. Ho colto in esso tutta la libertà tipica dei Figli di
Dio che in un colloquio filiale profondo, capace di tradursi in dialogo, può
trarre decisioni che possono rompere gli iter consolidati e scontati,
rimanendo, nonostante tutto, ancorati a ciò che conta: alla Verità contenuta
nel Vangelo. Certo è uno scenario nuovo, una strada mai percorsa, ma meno male,
è il segno della vita che si evolve senza timore”; “Accettare il limite umano. E' una grande lezione di Umanità. E'
bello che la Chiesa si presenti anche con un volto umano”; “La prima
impressione è quella di un grande gesto che farà la storia della chiesa e non
solo per il futuro dell'umanità: riconoscere i propri limiti e comprendere che
altri meglio di te possono ricoprire un incarico ed un servizio è profondamente
cristiano e profondamente umano”; “Ho tanta gratitudine per il suo essere
testimone coraggioso e nello stesso tempo mite, delicato e rispettoso”.
Col passare degli anni ci si renderà sempre più conto
della profondità del suo Magistero. I suoi scritti continueranno ad essere
letti per la loro profondità e ricchezza dottrinale. Ma prima di tutto rimarrà
la grande lezione della sua rinuncia.
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