I Superiori Generali, come il
Fondatore, parlano più spesso di carità che di zelo. Tutti sottolineano più
volte, seguendo il Fondatore, che la carità fraterna è o deve essere il segno
distintivo degli Oblati, e tutti ripetono più volte, sempre seguendo il
Fondatore, che dobbiamo avere tra di noi «un cuore solo e un’anima sola».
Sappiamo come Mons. Jeancard,
testimone fedele, lodava la carità che animava i padri e i fratelli della prima
comunità di Aix. Scriveva, ad esempio: «Il cor unum e l’anima una che il
Fondatore raccomanda nelle sue Regole come una delle caratteristiche della
Compagnia era veramente il tratto distintivo di questa piccola comunità». Da
notare che nelle Regole non si cita mai la frase degli Atti degli Apostoli –
cor unum et anima una – ma era talmente ripetuta negli scritti e sulle labbra
del Fondatore e della prima comunità, che Mons, Jeancard la dà per scontata. P.
Tempier aggiungeva: la comunità di Aix “è il regno della carità nella sua forma
più affascinante. Ah! se i mondani leggessero il nostro cuore, si rattristerebbero
di essere così lontani dalla felicità» (J. Jeancard, Melanges…, 1872, p. 26;
cfr. 3, 18-19, 22, 29, 33).
Toussaint Dassy, seminarista a Marsiglia nel 1829,
afferma di essere stato attratto verso la Congregazione dall’unità e dalla
carità che vedeva tra i direttori del seminario. La stessa atmosfera di carità
esisteva a Notre-Dame de Lumières nel 1840. Sant’Eugenio scriveva nell’atto di
visita del 10 ottobre: ”Abbiamo
appena trascorso cinque giorni deliziosi in mezzo a questa porzione della
nostra cara famiglia. Quanto erano dolci gli scambi con ogni membro di questa
casa! Abbiamo [notato] che lì serviamo il buon Dio come meglio possiamo, che ci
amiamo come fratelli, che tutti i cuori sono così uniti che non nasce mai il
minimo dissenso […]”.
Nel 1861, p. Joseph-Marie Clos
affermava che in Texas il clero secolare ammirava la carità fraterna che univa
gli Oblati; un prete affermò addirittura di non aver trovato tanta carità in
nessun’altra comunità.
Nella sua opera per i giovani,
intitolata Missionario Oblato di Maria Immacolata, p. Yves Guéguen scriveva nel
1947: «Questo spirito di famiglia, fatto di sincero attaccamento reciproco,
delicate attenzioni e cordiale semplicità, è stato fedelmente conservato tra i
figli di Mons. de Mazenod. Assieme al tenero amore per Maria Immacolata, che ne
è la pura fonte, costituisce chiaramente il prezioso patrimonio del loro
Istituto. È il fascino della loro quotidianità; porta gioia e conforto alle
loro feste o riunioni di famiglia; dà alla loro modesta ospitalità una speciale
impronta di cordialità; infine li predispone ad essere miti, affabili e
condiscendenti verso i fedeli che devono evangelizzare» (p. 101-102).
Potremmo venire più vicini a noi.
P. Mimmo Arena, alla vigilia dei voti perpetui, scriveva, ad esempio: “Il
motivo per cui entrai tra gli Oblati fu vedere il Fondatore redivivo in
loro. Mi colpì particolarmente l’unità che essi cercavano di costruire, il loro
essere uno…”.
Prima di lasciare la terra, Gesù
Cristo ha lasciato ai suoi discepoli il suo comandamento: “Amatevi gli uni gli
altri come io ho amato voi” (Gv 15, 12), e ha manifestato la sua ultima
volontà: “Andate in tutto il mondo, proclamate il Vangelo a tutte le creature”
(Mc 16, 15). Era normale che sant’Eugenio, prima di morire, lasciasse ai suoi
figli la stessa parola d’ordine o testamento: “Tra voi la carità, la carità, la
carità e, fuori, lo zelo per la salvezza delle anime”. Non dovrebbero gli
Oblati cercare di diventare altri Gesù Cristo e camminare sulle orme degli
Apostoli che considerano i loro primi padri?
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