Leggendo il Vangelo di questa domenica mi
è venuta in mente la ghianda da poco germogliata sull’albero davanti alla mia
finestra. Se la metti sotto terra, a primavera non spunta una ghianda, ma un
fusticino che presto diverrà quercia, così diversa dalla ghianda, eppure da
essa germinata. Così il nostro corpo che, con la morte, seminiamo nella terra. Rimane
lì per un lungo inverno e quando alla fine dei tempi risorgerà sarà tanto
diverso da come lo abbiamo seminato, anche se sarà sempre lo stesso.
Se a una ghianda fosse possibile vedere il
suo frutto rimarrebbe sorpresa, incantata davanti alla maestosità della
quercia, ne gioirebbe orgogliosa. Così noi se ci vedessimo risorti, in
paradiso. Là non ci si sposerà né ci si mariterà perché lo scopo del matrimonio
è già raggiunto e posseduto nella sua realtà più profonda. Saremo nell’amore,
senza bisogno dei mezzi per raggiungerlo e sarà la pienezza dell’amore, come
mai sarà possibile quaggiù. Avremo la vita in abbondanza nella sua definitiva
pienezza, senza bisogno della generazione che la continui nel tempo. Saremo
intimi gli uni gli altri nella piena trasparenza e ognuno intingerà il proprio
essere parola di Dio, il suo vero sé, nella parola dell’altro, fino a farla
propria, fino a diventare l’altro e l’altro farà lo stesso nella reciprocità
del dono e dell’accoglienza. Saremo come gli angeli del cielo, compenetrati di
luce, della luce di Dio, suoi figli e figlie nel Figlio, uniti attorno al
Padre, avvolti dall’abbraccio dello Spirito, fatti nuova vera famiglia.
La nostra, in paradiso, non sarà una vita
che continua, sarà risurrezione! Non quella di Lazzaro, della figlia di Giairo,
del figlio della donna di Nain, che poi hanno visto di nuovo la morte, ma la risurrezione
di Gesù, per una vita nuova e senza fine: la vita del Dio della vita. Il Dio di
Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe, il Dio dei nostri padri, sarà il
nostro Dio, la nostra vita, come mai lo è stata sulla terra.
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