«Come Oblati cerchiamo di
essere specialisti della comunione, fedeli all'eredità del nostro Fondatore:
“Praticate tra voi la carità, la carità, la carità – e, fuori, lo zelo per la
salvezza delle anime. Nella fedeltà a quel testamento, lo zelo di ciascun
membro è sostenuto dai vincoli della carità fraterna». Così leggiamo nel
documento del nostro ultimo Capitolo generale (n. 16). Sono parole troppo
conosciute per impressionarci ancora. Eppure vale la pena continuare a
ricordarle…
Queste parole del “testamento”
di sant’Eugenio furono pronunciate il giorno prima della sua morte, lunedì di
Pentecoste, 20 maggio 1861, e sono riportate nella Lettera circolare di padre
Joseph Fabre, il 26 maggio successivo.
Nel pomeriggio del 20
maggio, p. Tempier annuncia a Eugenio de Mazenod che “ogni speranza è perduta”.
Il vescovo fa l’offerta della sua vita e chiede la sua croce di oblazione e il
suo rosario. Si recitano le preghiere dei moribondi e il rosario. Dopo il
Regina cœli arrivano i padri del seminario. Il morente rinnova i voti, poi
benedice gli Oblati e le Suore della Sacra Famiglia di Bordeaux. Padre Fabre,
superiore del seminario, gli chiede: “Degnatevi di mostrarci l’ultimo desiderio
del vostro cuore”. Il Fondatore risponde: “Praticate bene tra voi la carità, la
carità, la carità e, fuori, lo zelo per la salvezza delle anime” (J. Fabre, Circolare
n. 9, 26 maggio 1861, in Circ. adm., I [1850 -1885], p. 63).
P. Fabre aggiunge che poco
dopo, all’arrivo di P. Ambroise Vincens e della comunità del Calvario, l’ammalato
“ha voluto ripetere... tutto quello che aveva già detto. Tale, continua, è il
prezioso testamento che ci lascia questo amato Padre, tali sono i suoi ultimi
pensieri, i suoi ultimi sentimenti, i suoi ultimi desideri» (Ibidem).
Le ultime raccomandazioni
scritte agli Oblati, il Fondatore le aveva rivolte in occasione della
promulgazione della seconda edizione delle Regole, nella lettera circolare del
2 agosto 1853. Insiste soprattutto sulla tensione alla santità e sulla pratica
della carità fraterna, terminando con queste parole: «Riassumo tutte le mie
raccomandazioni e i miei auguri con le parole dell’apostolo san Paolo ai
Corinzi: Infine, fratelli miei [rallegratevi], tendete alla perfezione,
incoraggiatevi a vicenda, abbiate unità di mente e di cuore, vivete in pace e
il Dio dell’amore e della pace sarà con voi. Salutatevi con il bacio santo. La
grazia di nostro Signore Gesù Cristo, L’amore di Dio Padre e la comunione dello
Spirito Santo rimangano con tutti voi. Amen” (2 Cor, 13, Circolare n. 1, 2
agosto 1853, in EO I, t. 12, p. 186; Circ. adm., I [1850-1885], p. 2 [16]).
Parole che “riassumono
la sua vita” e sono “il riassunto delle sacre regole”
Nessuno meglio di p. Tempier
poteva dare un giudizio così sicuro sulle ultime le parole del Fondatore: esse,
afferma, “riassumono la sua vita” e sono “il compendio delle sante Regole”, la
sintesi delle sue esortazioni agli Oblati lungo tutta la vita.
Negli scritti di sant’Eugenio
troviamo spesso i due termini, carità e zelo, uniti nella stessa frase.
Già nel primo articolo della
Regola del 1825-1826 si legge che il fine di questa piccola Società è che «i
sacerdoti, riuniti per vivere insieme come fratelli (Sal 132, 1) si dedicano
principalmente all’evangelizzazione dei poveri”. Il 12 agosto 1817, aveva scritto
nello stesso tono a p. Tempier: “… un vero zelo disinteressato per la gloria di
Dio e la salvezza delle anime, e la carità più tenera, molto affettuosa e molto
sincera tra noi, faranno della nostra casa un paradiso in terra…” (In EO I, 6,
n. 20, p. 34).
Un altro testo importante è quello
scritto in un momento di tristezza, dopo aver constatato che a Notre-Dame du
Laus i membri della comunità vivevano in un modo lontano dall’ideale che egli
aveva sognato e proposto nella Regola. Scrive a p. Guibert il 29 luglio 1830:
«La carità è il perno su cui ruota tutta la nostra esistenza. …La pratichiamo
anzitutto tra di noi amandoci gli uni gli altri come fratelli, considerando la
nostra Società come la famiglia più unita che esista sulla terra, rallegrandoci
delle virtù, dei talenti e delle altre qualità che possiedono i nostri fratelli
come se le possedessimo noi stessi, sopportando dolcemente le piccole mancanze
che alcuni non hanno ancora superato, coprendole con il manto della più sincera
carità, ecc.” (In EO I, 7, n. 350, p. 206-207).
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