Ai piedi della croce per ben tre volte Gesù è deriso, invitandolo a salvare se stesso. Non è un re? Non è scritto anche sulla croce, quale motivo di condanna? Se è un re, come mai è ridotto così? Dov’è il suo potere? Se è un re, può chiedere aiuto, può salvarsi. Glielo dicono i capi e lo ripetono i soldati e uno dei condannati. Ormai lo sanno tutti che è un re: Pilato, Erode, la guarnigione romana, la folla... Ma lo ritengono un illuso, un pazzo, un millantatore.
E invece è re davvero, anche se non secondo i nostri modelli. I re comandano e si fanno servire e Gesù è venuto per servire. I re hanno sempre i primi posti ed egli ha scelto l’ultimo. I re sono potenti (prepotenti?) ed egli mite e umile di cuore. I re hanno la guardia del corpo e l’esercito per difendersi ed egli è solo e indifeso e si lascia prendere la vita.
Anzi, di più, Gesù la vita non se la
lascia prendere, come sembra a chi gli sta attorno. La vita la dà per il suo
popolo, volentieri e liberamente. Qui sta la differenza e il segreto della sua
regalità. «Salva te stesso»? No, rinuncia a salvare se stesso per salvare il suo
popolo. Come pastore buono dà la vita per il suo gregge. Muori al posto nostro.
A lui la morte, a noi la vita. A lui l’ignominia, a noi la gloria. Egli scendi
dal trono per innalzarvi noi. Si fai servo per fare di noi dei re.
Tutto questo l’aveva già annunciato lungo l’intero Vangelo, ma ora lo attualizza in pienezza. La sua regalità consiste nell’amare e non c’è amore più grande di chi dà la vita per gli amici. La dà per ognuno di noi, che non considera “sudditi” ma “amici”. C’è un altro re i cui sudditi (coloro che stanno sotto) non sono tali perché tutti amici suoi?
Lì, sulla croce, innalzato tra cielo e terra, ci attira tutti a sé e fa nascere il popolo nuovo, che introduce nel suo regno. Il primo a entrarvi è un assassino, un condannato a morte. Ma ha saputo rivolgergli le parole giuste. Non gli ha detto, come gli altri, «Salva te stesso», ma «Salvami, ricordati di me». È il solo che riconosca veramente la sua regalità. A un re infatti si chiede clemenza e un condannato a morte domanda di essere graziato.
È quello che faccio anch’io quest’oggi: sono un “dis-graziato”, un peccatore degno di condanna. «È giusta la nostra condanna», ripeto con il buon ladrone. Per questo mi trovo nella condizione di chiedere la grazia. Lo faccio perché ti riconosco il mio re, onnipotente e pieno di amore e a te mi rimetto con fiducia e speranza. «Oggi», hai detto dal malfattore. «Oggi», ripeti a tutti noi: non inizi a regnare nell’altra vita, ma fin da ora, da «oggi»!
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