Il testo più
forte della Regola riguardo alla carità recita: «Saranno tutti uniti dai
vincoli della più intima carità e in perfetta obbedienza ai superiori»
(Costituzioni e Regole del 1818, parte seconda, «Altre principali osservanze»,
in “Missions OMI”, 78 [1951], p. 55, righe 380-383).
Due espressioni ricorrono spesso negli scritti di sant'Eugenio: dobbiamo avere tra noi “un
cuore solo e un’anima sola”; la carità fraterna costituisce il “carattere
distintivo” della Congregazione. Mi limito a citare solo il più importante di
questi testi, scritto dal Quirinale, a Roma, il 2 dicembre 1854: “Che gli Oblati
siano pienamente pervasi dello spirito di famiglia che deve esistere tra noi.
Ho visto molti ordini religiosi, sono in contatto intimo con i più regolari. Ebbene!
Ho riconosciuto in loro, indipendentemente dalle loro virtù, un grande spirito
di corpo; ma questo amore più che paterno del capo per i membri della famiglia,
questa corrispondenza cordiale dei membri per il loro capo che stabiliscono tra
loro rapporti che partono dal cuore, e che formano tra noi veri legami
familiari di padre e figlio, di figlio a padre, non l’ho incontrato da nessuna
parte» (Lettera a padre Antoine Mouchette e agli scolastici, 2 dicembre 1854,
in EO I, t. 11, n. 1256, p. 253-254). Ma, come ha detto p. Tempier,
Mons. Mazenod ha prima vissuto ciò che insegnava. Una volta scrisse: “Vivo solo
di cuore” (Lettera a padre Ambroise Vincens, 9 novembre 1853, in EO I, t. 11, n. 1187, p. 175). Voleva che i suoi figli vivessero e
lavorassero in comunità, ma in comunità fraterna e caritatevole.
Il Fondatore amava molto i suoi figli Oblati e lo diceva spesso. Basti
anche qui citare solo due testi. Prima di partire per Roma, il 17 gennaio 1851,
scrive a P. Charles Baret: “Tu sai, mio carissimo figlio, che la mia
grande imperfezione è amare appassionatamente i figli che il buon Dio mi ha
dato. Non c’è amore di madre che vi si possa paragonare. La perfezione sarebbe rimanere
insensibile davanti alla maggiore o minore corrispondenza dei miei figli a
questo affetto materno. Qui è dove pecco” (In EO I,
vol. 11, n. 1057, p. 30). Il 10 gennaio 1852 scrive a p. Toussaint Dassy: “Eh
no! non c’è creatura sulla terra a cui Dio abbia concesso il favore di amare
così teneramente, così fortemente, così costantemente tante persone. Qui non si
tratta semplicemente di carità, no, è un sentimento materno per ciascuno di
voi, senza pregiudizio per gli altri. Ognuno di voi non può essere amato più di
quanto io lo ami. Amo ognuno pienamente come se fosse l’unico ad essere amato,
e provo questo sentimento squisito per tutti. È magnifico!” (In EO I, vol. 11, n. 1095, p. 69).
Gli avverbi e gli aggettivi sono molto importanti negli scritti di sant’Eugenio:
vorrebbe la pena sottolineare quelli che usa in rapporto alla carità, tutti
pieni di affetto e di concretezza.
Nel testamento spirituale, il Fondatore ha ripetuto tre volte la parola
carità e una sola volta ha accennato allo zelo: Tra voi la carità... la carità... la carità e fuori lo zelo per la salvezza delle anime". Questo corrisponde bene alle sue
esortazioni: parlava più spesso di carità che di zelo perché, su quest’ultimo
punto, doveva piuttosto frenare gli Oblati.
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