L’animazione missionaria a Genova in occasione del 25° della morte di Giovanni Santoli – 23 marzo 1997 – vede all’opera un nutrito numero di missionari, Oblati, studenti oblati di teologia, laici, familiari… È bello seguire, giorno per giorno, le attività che si svolgono nelle scuole, nelle parrocchie… I siti internet sull’evento aggiornano minuto per minuto sull’andamento dell’evento che in città suscita molto interesse.
Venerdì 25 dovrò parlare, assieme a Sant’Egidio, sul tema: “Giovanni artigiano di giustizia e di pace”. Per farlo adeguatamente occorrerebbe ritracciare il clima di paura e la tragedia della guerra che si viveva 30 anni fa in Congo. Dovrei poi ricordare cosa ha fatto Giovanni, perché e come.
Mi basterà accennare a:
- La creazione del Centro di informativa, «perché si dice che nel duemila chi non saprà un minimo di
informatica sarà analfabeta. Ora, dato che già gli analfabeti in Africa ci sono,
lo facciamo perché non siano più analfabeti di quello che già sono. Più si
lavora per la cultura, più si lavora per insegnare, più si libererà l’uomo
africano».
- La fondazione dell’Istituto di Scienza della missione:
prepara gli statuti, i programmi di insegnamento,
l’organigramma dei professori. Raccogli i fondi, lavora per il suo riconoscimento
a livello internazionale… Tra gli obiettivi «favorire un franco dialogo con le
religioni tradizionali africane e conoscere e far conoscere le ricchezze della
Chiesa d’Africa».
- La creazione di una scuola
di apprendistato muratori. «Potrebbe sembrare del tempo perso o della follia
spendere otto milioni per fare un tetto, una scuola, soprattutto adesso che la
gente muore di fame e non si trova niente per soddisfare i bisogni primari.
Infatti all’interno è difficile trovare sapone, sale… ma occorre fermare l’esodo
dalle campagne. Aiutando i giovani a costruire un avvenire sul posto si possano
risolvere molti problemi che domani probabilmente potranno diventare senza
soluzione».
- Al suo impegno in seguito all’epidemia di ebola nel 1995 a Kikwit , che falciò sei Suore delle poverelle di Bergamo. Il loro Istituto chiese aiuto a Giovanni che si fece in quattro, malgrado la mole di lavoro che inesorabilmente si accumulava sulla sua scrivania: si precipitava all’aeroporto per ricevere i pacchi di medicine che venivano dall’Italia, si rendeva intermediario presso le autorità internazionali, redigeva rapporti sanitari...
- Chi potrà poi contare i
suoi innumerevoli interventi e la sua disponibilità verso gli studenti, le scuole
guida, gli aiuti capillari… A cominciare dalla storia romanzesca delle due bambine
messe in salvo e fatte ricongiungere ai genitori in Europa?
Perché? Per amore di un
popolo diventato suo, come dicono le molte testimonianze raccolte. Perché? Per
amore di Gesù nella sua gente. «Ogni mattina mi sveglio con la paura. Si vive
nell’incertezza, tra gli spari. Quello che mi ha sempre aiutato è dire:
“Signore, lo faccio per Te: quel che succede è per Te”. Non devi aspettarti un
ringraziamento, le persone non si preoccupano per te, non si accorgono di te e
allora molte volte ti viene da pensare: “Perché lo faccio?” Potrei tornare in
Italia, ma poi mi dico: “Lo faccio per Te, se sono qui è per Te…”». È ben
consapevole del male che lo circonda: «Il male esiste… è nelle ingiustizie, nei
soprusi. Perché Dio permette che la gente muoia di fame in uno dei paesi più
ricchi del mondo? Perché c’è l’egoismo, la cattiveria. Basterebbe un po’
d’amore e tutto potrebbe cambiare. Lavoriamo affinché il bene entri dentro; se
noi lavoriamo per Gesù, Egli cambia le cose».
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