Mai
come in questa età della vita la preghiera è chiamata a unificare l’intera
esistenza. Il lavoro, le preoccupazioni per la famiglia, gli impegni sociali
prendono talmente che il rapporto con Dio nella preghiera, sia personale sia
liturgica, rischia di passare in secondo piano. Ciò a cui più si punta è la
realizzazione di sé, nel bisogno di affermazione, nella consapevolezza di
essere costruttori della società, soggetti attivi del futuro dei figli, della
nazione. È il tempo di costruire, di portare frutti. Manca il tempo per
fermarsi, per raccogliersi.
Anche
Gesù non aveva più il tempo neppure per mangiare (cf. Mc 3, 20-21). Era
preso dalle folle, ne provava compassione, si sentiva responsabile di esse, e
insegna, cura i malati, perdona i peccatori, moltiplica i pani… Eppure si
ritrovava comunque a pregare per dare consistenza, spessore al suo operare.
«Chi
non raccoglie con me disperde», continua a ripetere anche adesso (Lc 11,
23). L’attività va condita con la preghiera: le dà sapore, consistenza,
efficacia. Senza preghiera c’è il rischio della “dispersione”: tante
iniziative, tante opere, la giornata piena da mattina a sera… ma in disgregazione.
La preghiera unifica.
Essa
si esprime soprattutto in una confidenza infinita nell’amore di Dio che tutto
sorregge e al quale possiamo affidare la famiglia, il lavoro, i progetti. Si rispecchia
nelle parole di Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parola di vita eterna»
(Gv 6, 67); «Sulla tua parola getterò le reti» (Lc 5, 4).
Gesù
è il Maestro, che cammina accanto, indica il cammino da percorrere, dà
sicurezza; è il Signore della storia che dà forza e porta tutto a compimento,
verso una sicura meta finale.
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